E' lapalissiano: o ci stai o non ci stai...
In qualunque situazione. In qualsiasi luogo. Perfino in un sistema di pensiero...
Devi poter mettere l' altro in condizione di "leggerti", o soltanto "scorrerti", attraverso un certo schema di catalogazione, e, accondiscendendovi, tu tradirai imperdonabilmente te stesso.
Di te, l' altro deve comprendere almeno vagamente la tua collocazione nello scaffale dei tipi umani, culturali e sociali: sapere se sei simpatizzante di destra o di sinistra, reazionario o liberale, conformista o cane sciolto, allegro o malinconico, ateo o credente, e, su tale falsariga, ogni altro elemento atto ad esternarti.
In caso contrario e nell' eventualità in cui tu ostinatamente vi opponga resistenza, -per via di una certa tua dura scelta di integrità morale ed intellettuale che ti imporrebbe di non esprimere nulla che non sia totalmente vero od esaustivo- , sarai un viandante ramingo e solo, accompagnato in eterno dalla sua stessa perplessità.
E' un gioco cui non puoi sottrarti, e che implica compassione, inutile amore per il tuo prossimo, cui provi ad offrirti ed in cui desideri credere -alla resa dei conti-, che ti condurrà, quasi certamente, al totale disgusto di te.
Una fatica estenuante, logorante ed inutile: la ricerca dell'appartenenza è un lavoro usurante, a decorso letale, che non contiene in sé neppure una parvenza vaga di felicità: dà soltanto illusione, è un mendace espediente per non precipitare nel nero pozzo dell' isolamento, nel cerchio perfetto e gelido di un universo che inizia e finisce con te, entro i limiti sensoriali ed ideali del tuo corpo-mente.
No.
Preferisco di no.
Resta allora il "fare", ovvero il tentativo di materializzare i tuoi pensieri, il tuo autenticamente onesto modo d' essere -per tutti irrilevante men che per te-, in azioni tangibili.
Oggi ho un grande impegno: tenermi viva.
Sopravvivere, momentaneamente.
Momentaneamente è abbastanza.
Farlo nonostante il mio risentimento verso una vita avara, un po' mediocre, disseminata di tragiche fatalità, di circostanze sempre sfavorevoli, di incontri mortificanti, di soprusi derivanti dalle umane piccinerie, di totale assenza di appoggio.
Voglio vedere quanta tenacia trasportino i miei geni.
Lo devo al mio gatto, e ad un paio di persone.
Una vita, soprattutto, senza Dio -persuasa da sempre della sua assoluta irrilevanza ed indifferenza rispetto alla condizione umana-, ma -ancor peggio-, senza l' uomo.
Come ti comprendo gattara malinconica, non penso che la tua vita sia stata costellata solo da circostanze sfavorevoli , la vita è fatta a volte di episodi amari, ed a volte di episodi dolci; non bisogna smettere di amare il prossimo, anche se come tu dici è una fatica estenuante ed inutile … ti sbagli, loro non lo fanno per puro divertimento ,ma solo perché incapaci e ciechi ,così presi ad rincorrere il proprio Eldorado
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