martedì 21 febbraio 2012

Muori, che è meglio.

Avrei potuto dirmi una persona enormemente fortunata, se non mi fossi ritrovata ad essere -per cause di forza maggiore, dettate dall' oscura imperscrutabile forza che ci costringe sempre ad essere esattamente quel che siamo e non possiamo, alla lunga, non essere- io.
In due parole, per ciò che adempie al dovere di presentazione estetica e formale: un' anarco-comunista-mistica senza tessere né salvacondotti per la vita, consapevole di non poter sfuggire ad un inguaribile stato di isolamento nel non-sense universale.

Ho avuto il privilegio di nascere da proletari, figli di proletari, figli di proletari: gente che ha sempre stentato la vita con un salario appena sufficiente alla sussistenza.
Ho una valida prenotazione in Paradiso su poltroncine di prima fila.


Nella filosofia consolatoria di matrice cristiana, essendo io di diritto appartenente alla categoria degli ultimi avrei avuto la somma prospettiva d' essere tra i primi almeno dopo, finita questa giostra terrestre tra l' assurdo e l' atroce.
Ma son pure atea: le vie di mezzo per me impercorribili, dato il loro fondo melmoso.

Che poi, giusto per rimanere soltanto nella storia recente del pensiero, il Cristianesimo poco ha aggiunto allo stoicismo e al platonismo in materia di istruzioni del vivere, tant' è che il messaggio finale, in soldoni è lo stesso: "Muori, che è meglio".   

Sappiamo bene che l' appartenenza ad un  censo è condanna e predestinazione. Così come, allo stesso modo, è condanna e predestinazione l' indole. Non c' è niente -assolutamente- da fare: così funziona il meccanismo sociale.
Non si può avere nel contempo grazia e felicità.
La grazia è terribile e devastante.
La felicità moderna è disgustosa.

Non c' è equità possibile, neppure nei personalissimi intimi giudizi. Oltre il proprio corpo -.la sola cosa di cui si abbia interesse ed autentico sentore-, la landa desolata del nulla.
Siamo soggetti ed oggetti di indifferenza per ciò che concerne la verità dell'esistenza. Sprechiamo fiumi di parole per declamare d' essere pro o contro quialcosa, senza accorgerci che quel qualcosa è il niente.
Senza disquisire su di un qualche nulla la nostra voce sarebbe inutile dotazione, le sinapsi cerebrali paralizzate.
(Grazie al cielo il nullificante evento televisivo idiota del momento è finito: ho temuto più i puntuali commenti intelligenti che la normale bagarre pubblicitaria del caso.)

Questo blog è una possibilità espressiva, abbastanza inutile pure quella -invero-. Niente di più, niente di velleitario. In attesa di smentite, o di chiusura.
Ma ho superato ben altri e pesanti traumi.

Si è dato talvolta il caso che un figlio di proletari, grazie ad un suo qualche fortuito talento supportato da determinazione ed intraprendenza,  sia riuscito ad emendarsi dalla sua condizione d' origine e, se capace anche di liberarsi dagli eventuali scrupoli di coscienza, ascendere sulla scala sociale, forse pure fino in vetta.
Il mito del self-made man ha diretta correlazione con il mondo dei sogni ed è la favola metropolitana preferità dai perdenti.

Ma anche i sogni sono passibili di strumentalizzazione e massimamente vulnerabili e ricettivi dei più contorti messaggi subliminali o diretti.
Sognare nei termini oggi possibili non è affatto così liberatorio, credete: è l' ennesima pietosa illusione di felicità.
Non sognate, ché alla fine dà assuefazione,  confonde e rende banali.

Mah.

11 commenti:

  1. eppure mi è sembrato, in altri post, che tu avessi sognato ed anche tanto, per rendere te stessa e questo mondo migliore...forse hai fallito, o forse è la tua percezione...di certo non trovare "risorse" (avrei potuto dire speranze, ma questo termine non mi è mai piaciuto, forse perchè lo sento vuoto e senza azione,come una attesa) e cosigliare di abdicare anche ai sogni, è una non vita, e restare dietro ai vetri ad aspettare che arrivi il giorno che dici di non temere, la morte!
    avrai i tuoi motivi, oggi forse più di ieri,
    ma alla fine della gistra, spogliata l'essenza della propria vita, dall'illusione dell' amore,da quella dei sogni, cosa resta?
    tanto vale abdicare anche all'istinto di conservazione...

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  2. LA CLASSE OPERAIA ANDREBBE IN PARADISO, COME HA DETTO ADRIANO PER LE TESTATE VATICANE, SOLO CHE TUTTO, MOLTO PROBABILMENTE SI SVOLGE SUL NOSTRO PIANETA ASTRONAVE. Saluti da Salvatore.

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  3. Penso che già il fatto di raggiungere un simile stato di consapevolezza sia un passo verso una (inutile, ok) liberazione. Gettare un po' di luce sulla superficie delle cose, compito massimo per noi minimi (per minimi intendo gli umani tutti, non solo i "proletari").

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  4. Per me, Morena, l'origine proletaria che ho è sia dramma che ricchezza.
    Dramma, perché dove c'è povertà c'è spesso ignoranza, che è assenza di adeguata istruzione. Ho sofferto sulla pelle e porterò sempre con me la povertà culturale dei miei genitori, che ha lasciato cicatrice nella mia istruzione.
    Socialmente la reputo però un'origine della quale inorgoglirsi.
    Sul senso della vita, sul finale, sul nulla del quale si parla... probabilmente è così, sebbene il rifiuto di un'intelligenza divina di matrice religiosa, non comporta il rifiuto di una qualche forma di sovrannaturalità spirituale, che non ha bisogno di recinti antropocentrici per esistere. (per dirla senza paroloni, non dispero del mio sogno di diventare un cavaliere jedi, ecco, l'ho detto!, ma non ridere)

    Ma in ogni caso, mi va di ricopiarti una frase da "La signora Dalloway" che sto leggendo:
    "Tutti hanno dei ricordi; ma quello che lei amava era qui, ora, di fronte a lei, quella grassa signora in taxi. E allora che importava, si chiese, andando verso Bond Street, che importava se doveva ineluttabilmente cessare di esistere, e tutto sarebbe continuato senza di lei; le dispiaceva, forse? O non la consolava piuttosto credere che con la morte finisce tutto, completamente, ma in un qualche modo, per le strade di Londra, nel flusso e riflusso di tutte le cose, qui, là, lei sarebbe sopravvissuta [...]; lei in quanto parte, ne era certa, degli alberi di casa sua, [...] parte della gente che non aveva mai incontrato, [...]"

    Penso che la letteratura sia un appiglio forte, anche la tristezza, anche la malinconia e i ricordi(più della felicità o delle risate fugaci, checché si dica).
    Cerca di stare appigliata, e non mollare la presa.
    Tieniti forte a Morena.
    Ognuno, quasi sempre, ha solo se stesso, e poche rare eccezioni.

    "Siamo tutti parentesi estranee nelle esistenze altrui"
    (questa è mia, da luoghi molto bui)
    Soltanto di rado l'incantesimo si spezza.

    E leggi. Leggi pagine. Leggi libri. Leggi.
    Non basta una vita per leggerli tutti.
    Una carezza sul capoccione
    :o)

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  5. @ S.

    Cara S., non hai sbagliato impressione, né io, d' altro canto, "ho fallito": non ho una sola recriminazione -credimi- rispetto agli accadimenti del mio passato -pubblico e privato- da avanzare. Sono certa che rifarei tutto esattamente come l' ho fatto, perché se è vero che l' indole è immutabile (e credo fortemente che lo sia) e quindi difetti e virtù di fondo restano permanenti nel tempo, è anche vero che ogni scelta è stata fatta in totale buonafede. Io la chiamo 'integrità' etica, mia personale, s' intende. Magari farà pure sorridere, ma appartiene alla mia storia.
    Mi rendo conto della difficoltà di interpretazione di questo scritto (in realtà in me è da sempre in conflitto, e qui condensato, l' ancestrale potentissimo amore per la vita allo stato puro -la Grazia del vivere- e lo sguardo fin troppo microscopico sulla sostanziale ingiustizia -tutta umana e culturale- con cui abbiamo permesso che fosse regolato il mondo) e ti ringrazio molto dell' attenzione che vi hai prestato.
    Ha una certa pretesa di analisi distaccata ma non vi può essere tolta una certa nota amara. Ma come potrebbe essere altrimenti?
    Perché se è vero che l' uomo è fatto "della stessa materia dei sogni", è altrettanto vero che i suoi bisogni elementari e principali sono reali e tangibili ed è con reazioni della stessa natura che possono essere sedati.
    Un miserabile non può sfamarsi con un sogno: deve avere il pane.
    E se il bisogno, parimenti importante ed in alcuni vitale, di condivisione, di vicinanza, d' amicizia, d' amore, ha ricevuto risposte sempre frustranti, allora quel po' di cinismo acquisito serve a non precipitare nella disperazione cupa.
    Il sogno dev' essere elettivo, una sorta di luogo dell' anima in cui perfezionare ciò che la realtà non consente ma che la nostra anima sente comunque necessario ed improrogabile per il proprio sé ma non deve costituire alibi rinunciatario e consolatorio, altrimenti non è più IL NOSTRO sogno: è un sogno indotto.

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    1. Grazie :)
      perché alcune tue parole, sono arrivate, casualmente (!) nel momento in cui ne avevo bisogno.

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  6. @ Salvatore:

    Per la classe operaia qualcuno teorizzò il paradiso prossimo venturo, il sole dell' avvenire, procrastinandoli a data da destinarsi. Contavano sulla sua smemoratezza? Hanno indovinato. La classe operaia ha dimenticato.
    Ed ora siamo borghesucci miserabili, in un perfetto inferno.

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  7. @ Luca:

    Noi, piccoli Diogene, nudi in una botte, con la lanterna in mano. A cercare dove si sia mai cacciata la verità...
    ;-)

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  8. @ K.

    La tua prima dichiarazione mi ha inevitabilmente riportato alla memoria una riflessione pasoliniana sulla "cultura". La cosa peggiore (addirittura devastante) è proprio la cultura mediapiccolo-borghese, che è tanto velleitaria quanto patetica. Appiattimento, omologazione, mediocrità, banalizzazione: il terreno più adatto alla coltivazione del becero conformismo.
    Pasolini vedeva possibile il riscatto da ogni contaminazione borghese proprio nelle anime semplici ed ignoranti.
    Ecco: in un certo senso era quella una visione onirica.
    Come quella di superare la condizione di semplice parentesi estranea nelle altrui esistenze (bella metafora, Cavaliere). Quello è un sogno che trattengo, ostinatamente, e così resisto.

    Grazie. A te un sorriso.

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  9. che galassia malinconica.....ma è giusto vivere una vita così?.... altro non saprei dirvi

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  10. @ Anonimo:

    "Giustizia" è un concetto, ed in quanto concetto è un prodotto culturale, che, partendo da un bisogno umano certamente primario, si è trasformato nel tempo in conseguenza dello sviluppo sociale.

    “Facendo del danaro il movente unico, o quasi, di tutti gli atti, la misura unica, o quasi, di tutte le cose, abbiamo diffuso ovunque il veleno dell’ inuguaglianza.” (S. Weil)

    A questo, io temo, non c' è rimedio.

    Quanto ad una giustizia 'superiore' ci vorrebbe Dio. Ma Lui ha una valida scusa per sottrarsi alle Sue responsabilità: non esiste.

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