Forse il disagio del vivere è direttamente proporzionale al numero di domande che ciascuno di noi si pone. La curiosità uccide? (tanto va la gatta al lardo...)
Intasare la propria esistenza di questioni irrisolte, infatti, non può che aumentare lo sgomento d' esserci.
L' immagine dell' eternità più efficace, ai miei occhi, è questo gatto di domande che non s'avvede di stare mordendo la sua stessa coda.
Rilassati, Sirio, suvvia. Zittisci. Lascia in stand-by i due lobi, ché, tanto, il tuo sarà il destino di tutti i curiosi: morire di somma noia.
E' che non posso: ciononostante è una "scelta" obbligata dalla natura (o dalla mia...).
I n e l u d i b i l e.
Quando si parla di "destino", in un certo senso non si dice una sciocchezza: esso, in effetti, ci comanda davvero, manovrando i fili a guisa di burattinaio, perchè alberga proprio dentro di noi.
Il nostro destino è la nostra indole, il temperamento, lo stile di apprendere ed organizzare i pensieri..
Tra le varie infamie accadenti agli esseri vivi e pensanti, ad un certo punto avverti la senilità, tuo malgrado. (Accidenti, mi credevo immortale fino ad appena ieri.)
Deduco che la vecchiaia è soltanto un evento psico-materiale: lo spirito non se ne avvede quasi e tende perennemente a rimuoverne la consapevolezza. In un certo senso si dissocia dalle nostre spoglie mortali.
La faccenda si fa sconveniente: sono un' atea che parla come una mistica, perché, a ben guardare, dire "spirito" mi trasporta in una nebulosa disseminata di oscuri significati, ciascuno più imbarazzante e contraddittorio dell' altro.
Il punto è comprendere se questo fenomeno sia di natura comunque organica ed adempia ad uno scopo di sostegno (una sorta di puntello alle progressive difficoltà che l' invecchiamento comporta), oppure "ultraterrena", quantomeno nel senso di "cosmica".
(Propendo per la prima, essendo io -volete o nolente- , razionale ed agnostiica, ma mi piacerebbe infinitamente credere, anche soltanto un po', alla seconda..)
Checché ne dicano gli stoici, noi mortali continuiamo, imperterriti, ad esaltarci nelle passioni, a perderci nelle emozioni, a vivere e morire per esse.
Il perseguimento della virtù, certamente, continua a rappresentare il massimo bene, ma non scalda il cuore, il corpo, il sangue. E' cibo per l' anima, ambrosia per lo spirito, nutrimento massimo, dai frutti durevoli -se durevoli possono dirsi i frutti di chi è votato alla morte-, ma la separa dai sensi, e così facendo ci disumanizza.
E' l' inferno che desideriamo in questa vita tangibile, perché è infernale la sua realtà, e noi siamo animali mimetici, camaleonti di tempo e spazio, dalle capacità di adattamento straordinario. Il nirvana, se c' è ed ovunque sia, dovrà attendere.
Rimane una sola procedura di sopravvivenza: degustare stilla a stilla il veleno dell' ignoranza miscelato all' essenza delle (im)probabili possibilità di scoperta, con l' atteggiamento talvolta dell' attore e talaltra dello spettatore esterno della propria stessa vita; affinando l' arte del contemporaneo esserci e non esserci, dimesticandosi nell' attitudine ad entare ed uscire dal proprio io, come da un' uscio basculante e ben oliato.
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