Non ho alcuna velleità autopoietica e per l'intera mia esistenza, piuttosto, mi sono mossa in senso decisamente contrario cercando ed accogliendo con una certa miope caparbia il tepore consolatorio dell'altrui vicinanza.
Comunicare con voce o scrittura, in reciprocità, mi dava piacere; amavo la compagnia, speravo nell'amicizia.
Ora mi costa fatica, un'indicibile fatica seguita immediatamente da un senso di frustrata umiliazione, perché non c'è difesa che io sia riuscita a costruire negli anni per stemperare questo eccesso di intuito e sensibilità che mi condannano all'amarezza e alla vulnerabilità.
La mia vita non è stata mai facile, ma lo sforzo immane superiore ad ogni altro è stato costituito senz'ombra di dubbio dal tentativo fallimentare di sembrare almeno vagamente normale.
Si è trattato di un'autolesionistica determinazione -sempre poco convincente- che consentisse di rapportarmi agli altri, di guadagnarmi un posto di lavoro, di amare qualcuno, di rendermi traducibile, di non spaventare i bambini, di respirare senza che l'ansia mi chiudesse la gola: ci ho provato infinite volte, ed ho puntualmente fallito.
Ma io non sono normale, punto.
E' tempo d'esserne fiera piuttosto che dispiaciuta e senza più alcun dubbio dato che se non sappiamo stare ai giochi è perché i giochi sono truccati.
Per me e per quelli come me, nascere e vivere equivale ad "imbattersi in una "valanga che seppellisce l'anima" e lo intuiamo già da bambini.
La depressione che tallonerà ogni nostro passo, che inficerà ogni iniziativa, che segnerà i nostri rapporti sentimentali, che minerà la nostra salute, è inevitabile, ma non è una colpa.
Noi siamo innocenti, noi siamo i forti, pur se vinti e deprivati di serotonina, e il nostro dolore ha cause politiche.
Vorrei concludere con un bel motto evocativo, del tipo "depressi politici di tutto il mondo, unitevi!" per scimmiottare una parvenza di speranza, ma i rettori del sistema -cui dobbiamo riconoscere un'intelligenza raffinatissima e perversa-, hanno convinto la maggioranza di noi d'essere portatori di un difetto neurologico individuale, una brutta e bizzarra tara spirituale, da sopportare in silenzio nell'isolamento del nostro privato.
Al massimo, ma proprio al massimo -così sottace Sistema-, cerchino sfogo scrivendo in un blog.
Comunicare con voce o scrittura, in reciprocità, mi dava piacere; amavo la compagnia, speravo nell'amicizia.
Ora mi costa fatica, un'indicibile fatica seguita immediatamente da un senso di frustrata umiliazione, perché non c'è difesa che io sia riuscita a costruire negli anni per stemperare questo eccesso di intuito e sensibilità che mi condannano all'amarezza e alla vulnerabilità.
La mia vita non è stata mai facile, ma lo sforzo immane superiore ad ogni altro è stato costituito senz'ombra di dubbio dal tentativo fallimentare di sembrare almeno vagamente normale.
Si è trattato di un'autolesionistica determinazione -sempre poco convincente- che consentisse di rapportarmi agli altri, di guadagnarmi un posto di lavoro, di amare qualcuno, di rendermi traducibile, di non spaventare i bambini, di respirare senza che l'ansia mi chiudesse la gola: ci ho provato infinite volte, ed ho puntualmente fallito.
Ma io non sono normale, punto.
E' tempo d'esserne fiera piuttosto che dispiaciuta e senza più alcun dubbio dato che se non sappiamo stare ai giochi è perché i giochi sono truccati.
Per me e per quelli come me, nascere e vivere equivale ad "imbattersi in una "valanga che seppellisce l'anima" e lo intuiamo già da bambini.
La depressione che tallonerà ogni nostro passo, che inficerà ogni iniziativa, che segnerà i nostri rapporti sentimentali, che minerà la nostra salute, è inevitabile, ma non è una colpa.
Noi siamo innocenti, noi siamo i forti, pur se vinti e deprivati di serotonina, e il nostro dolore ha cause politiche.
Vorrei concludere con un bel motto evocativo, del tipo "depressi politici di tutto il mondo, unitevi!" per scimmiottare una parvenza di speranza, ma i rettori del sistema -cui dobbiamo riconoscere un'intelligenza raffinatissima e perversa-, hanno convinto la maggioranza di noi d'essere portatori di un difetto neurologico individuale, una brutta e bizzarra tara spirituale, da sopportare in silenzio nell'isolamento del nostro privato.
Al massimo, ma proprio al massimo -così sottace Sistema-, cerchino sfogo scrivendo in un blog.
Felice chi è diverso
RispondiEliminaessendo egli diverso.
Ma guai a chi è diverso
essendo egli comune.
Sandro Penna
Oh sì.
Elimina(... ma dire "felice" al vero diverso richiede una licenza poetica arditissima)
Ma "felice" è sempre una parola arditissima... te lo dissi
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