Piccola anima smarrita e soave, perdonami, ma non c'è modo di uscirne e non riesco a soffiare ancora un poco sulle tue ali: stai qui, esanime e spenta, crepuscolare e decadente anche nel più luminoso dei giorni, in attesa di un evento sovrumano che ti permetta di risorgere e nella più assoluta certezza che questi non sarà mai.
Le più squallide incombenze imposte dalle ragioni della semplice sopravvivenza occludono visione e sentore di cielo ed aria ed ottundono con l'ansia e la tristezza sentimenti e fantasia, così che, ormai, ho perduto la consapevolezza di te e ti dimentico, per lasciarti almeno intatta, nel tuo sonno protettore.
S'è spezzato, irrimediabilmente, l'incantesimo del miraggio dell'integrazione e dell'armonizzazione con qualcuno, con qualcosa (idea, sogno) in qualche posto, in qualche tempo.
S'è volatizzata anche la timida speranza che osando, come ho fatto anche qui, un po' disvelarti, uno, una, su mille, mi avrebbe aiutata ad aiutarti ad espimerti e così, di conseguenza, a conoscermi fino in fondo, per non estinguermi irisolta. E' illusione, pure quella: non c'è modo di aiutare nessun altro all'infuori di noi stessi: noi viviamo, o moriamo, interamente responsabili, e quindi anche colpevoli, delle sorti della nostra particolare esistenza.
Abbaglia, con insostenibile crudeltà, il sentore di una totale, irrimediabile ingiustizia in ogni aspetto dell'umano.
La tronfia presunzione di possedere il libero arbitrio è sì totalmente smontata, dato che certe vite hanno davvero percorsi stravaganti e crudeli imposti dal destino, ma ciò non sottrae nulla alla consapevolezza che, molto probabilmente, anche condizioni oggettive favorevoli -a me comunque sconosciute- secondo il comune intendimento, sarebbero valse almeno a non aggiungere alla mia innata ed ineliminabile malinconia l'umiliazione di non poter fuggire dall'orribile materialismo, di cose e paradossalmente pensieri, cui la realtà mi obbliga.
Le più squallide incombenze imposte dalle ragioni della semplice sopravvivenza occludono visione e sentore di cielo ed aria ed ottundono con l'ansia e la tristezza sentimenti e fantasia, così che, ormai, ho perduto la consapevolezza di te e ti dimentico, per lasciarti almeno intatta, nel tuo sonno protettore.
S'è spezzato, irrimediabilmente, l'incantesimo del miraggio dell'integrazione e dell'armonizzazione con qualcuno, con qualcosa (idea, sogno) in qualche posto, in qualche tempo.
S'è volatizzata anche la timida speranza che osando, come ho fatto anche qui, un po' disvelarti, uno, una, su mille, mi avrebbe aiutata ad aiutarti ad espimerti e così, di conseguenza, a conoscermi fino in fondo, per non estinguermi irisolta. E' illusione, pure quella: non c'è modo di aiutare nessun altro all'infuori di noi stessi: noi viviamo, o moriamo, interamente responsabili, e quindi anche colpevoli, delle sorti della nostra particolare esistenza.
Abbaglia, con insostenibile crudeltà, il sentore di una totale, irrimediabile ingiustizia in ogni aspetto dell'umano.
La tronfia presunzione di possedere il libero arbitrio è sì totalmente smontata, dato che certe vite hanno davvero percorsi stravaganti e crudeli imposti dal destino, ma ciò non sottrae nulla alla consapevolezza che, molto probabilmente, anche condizioni oggettive favorevoli -a me comunque sconosciute- secondo il comune intendimento, sarebbero valse almeno a non aggiungere alla mia innata ed ineliminabile malinconia l'umiliazione di non poter fuggire dall'orribile materialismo, di cose e paradossalmente pensieri, cui la realtà mi obbliga.
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