Ho deciso pertanto di esercitare la mia porzione di integrità nei rapporti -o nell'assenza di rapporti- con i miei simili, togliendo di mezzo i penosi alibi loro accordati al fine di evitare la recisione di quei sottili fili che reggevano insulse reminiscenze romantiche prive di logico contenuto o affetto autentico: alcune stupide ed immediate reazioni di rimando, di carattere sostanzialmente mimetico, mi dimostrano che è cosa giusta e saggia.
Stamattina, percorrendo il mio usuale tragitto sulla bicicletta per recarmi al lavoro, osservavo i gruppetti di persone in attesa ad ogni pensilina del tram: tutte, nessuna esclusa, nonostante diversità d'età, etnia, tipo, e probabilmente fine e personalità, si interfacciavano con un telefonino, più o meno avanzato: ho provato un'orribile sensazione di glaciazione imminente ed al contempo un certo sollievo per via della fine della pantomima della comunicazione liturgica del nulla che in genere gli appartenenti al consorzio sociale pensavano di doversi reciprocamente.
Più avanti, sul marciapiede, una signora molto anziana con i ricciolini azzurri, così anziana da stare ripiegata a novanta gradi in quella che un tempo era stata la sua stazione eretta, appoggiata al carrellino ausiliario per la deambulazione, era intenta a digitare qualcosa, a sua volta, sul suo apparecchietto mobile, davvero piccino, e strizzava gli occhi dallo sforzo per individuare i tasti: la sensazione successiva a quella glaciale è stata di scollamento del tempo; una cosa alla Dalì...
Nulla è più difficile del considerare l'altro davvero esistente. O almeno esistente quanto me. Anche perché l'altro non si cura molto di convincermi d'essere qualcosa di originale, definito e senziente, con qualche volontà e forma precisi, ardenti di fuoco interiore.
A me paiono tutti amebe avanzate, che tragedia.