venerdì 4 aprile 2014

Appunti antropocentrici - 2 - (del come ai cani riesca meglio amare)

Duca me lo ricordo bene: era un surrogato di bontà.
Buono a prescindere, buono per scelta, e pure buono per destino.
Anche dopo l'ictus che quasi l'uccise e che gli lasciò permanentemente il muso rivolto a sinistra, come se una corda all'interno del collo lo tirasse da quella parte, lui, imperturbabile, dispensava leccatine: bastava sussurrargli  paroline dolci all'orecchio, bastava trattarlo con gentilezza.
Con i cani va così: ti fiutano, deducono l'essenziale, e poi  credono in te in eterno.
Io, per questo,  li amo, ammiro la loro folle fiducia, e li invidio.

Agli uomini, infatti, non mi riesce più di attribuire alcuna fermezza, alcuna valenza certa, un solo riferimento non sdrucciolevole, una parola definitiva: quelle dette son smentite dai fatti e quelle taciute dai fatti son svelate ed hanno significati ed implicazioni sgradevolmente amari, quando non ripugnanti, comunque sempre velleitari.
E' un incubo non riuscire più a credere a nessuno: corrisponde ad una sorta di perdita violenta della verginità del sogno, e la conseguenza è lo smorzarsi del desiderio di esistere, perché esistere impone una certa dose di levità, una leggerezza impossibile da ottenere con un cuore impietrito che fa da zavorra, mentre in assenza totale della speranza - anche fievole -  di condivisione di una parte della propria anima con i propri simili, ci si sente estromessi finanche dalla specie.

Prendiamo il disagio, il dolore, fisici o psicologici, per esempio: ne conosco così tanti, quasi tutti, che lo rimuovono come pensiero molesto, decidendo che va bene così, che la vita è comunque bella - per definizione, quindi deve e può esserlo -, che il dolore è osceno e pure un pochino colpevolizzante e, conseguentemente,  non  vogliono contemplarlo come realtà intrinseca delle loro esistenze - semmai è evento accidentale - né men che meno lasciarsi intossicare da quello altrui.
Considerare seriamente il dolore altrui, quindi, è pornografico, disdicevole, indelicato: con grande magnanimità, stile ed eleganza si fanno discreti e pudichi sì che pare ti inviino questo messaggio, attraverso cento segnali minimi ed involontari: "non farmi sapere nulla, per carità, delle tue miserie e delle tue disgrazie: è vergognoso essere tristi nel mondo d'oggi, la pubblicità non lo contempla, i mulini son tutti bianchi d'abbondante farina e si stagliano su ameni prati pieni di papaveri e spighe che danzano con il venticello, la felicità è obbligatoria... abbiamo tante cose atte allo scopo, se mi racconti i tuoi mali mi crei imbarazzo, ché non so che dire e che fare... e poi m'intristisci, ed io non voglio diventare triste, non lo reggo, non ti reggo. Inoltre, a me pare anche che tu te la prenda per cose irrilevanti, affatto serie, marginali. "
Oppure partecipano, come s'usa adesso, a suon di virtuali estemporanei "mi piace". Se non è scandaloso l'ossimoro di farsi "piacere"  la sofferenza  per il tempo di un click, allora la stupidità umana è davvero sconfinata.

 


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