Bisogna imparare l'abilità di lasciar coesistere in sé l'eventuale impeto naturale ad accordare fiducia, senza obnubilarne la sincera freschezza e la spontanea disposizione ad accogliere, e la lucida rassegnata attesa del momento in cui sarà evidente -perché fatale-, che concederla ed esercitarla non basta comunque a sancire affinità elettive o speculare affetto.
Dev'essere un dono fatto con la più limpida unilateralità, totalmente disinteressato dei suoi effetti.
E' vero che ho concesso la mia totale fiducia al novantapercento delle persone con cui mi sono relazionata; è vero che, di queste, l'ottantapercento l'ha tradita; è vero che non cambierò mai comunque.
A ben pensarci, nell'uso comune 'dono' è lemma dall'accezione comunque mercantile, anche quando non presupponga scambio di beni materiali, e nel contempo, inoltre, quando investito di spiritualità, ha sapore mielosamente religioso, cosa che -nell'inequivocabile deriva ipocrita e strumentale che caratterizza le religioni- mi consiglia di sostituirlo piuttosto con il più lato e sano 'accoglienza'.
Sta bene, allora: di natura, attraverso un meccanismo che si avvia da sé spontaneamente, io, caparbiamente, accolgo.
Potrei poi, talvolta, anche raccogliere, se non che, per ora, non ho più le energie sufficienti ad affrontare le ulteriori complicazioni della conseguente restituzione.
D'altronde, aver voglia di abbandonarsi all'assenza di tensione, pregiudizio, cautela e timore -che mille supposizioni e calcoli possibili sopra il sedicente merito dell'oggetto da accogliere comporterebbero-, è anche espressione contemporaneamente di forza e libertà.
Per me l'esercizio della libertà almeno metafisica è autentica questione di sopravvivenza.
Così io mi muovo: talvolta accogliendo, con clamoroso errore, anche l'intruso immeritevole. Ciò che conta è saperlo poi mettere alla porta senza esitazioni.
Infatti è altamente assurdo occuparsi degli effetti delle nostre determinazioni oppure del loro ritorno in termini di guadagno anche immateriale.
Ma a che cosa può mai condurre una vita di prudente prevenzione? E' ridicolo, perché noi morremo e se c'è una certezza inoppugnabile è questa.
Sulle affinità elettive -piuttosto- disse mirabilmente un poeta romantico, ed io ormai non acconsentirei più ad ammettere la mia indole romantica neanche sotto tortura.
Perciò, non le credo più possibili, giacché quassù, su questa crosta arida e brulla di strada metropolitana, perfino l'esatta interpretazione di un semplice sorriso è strumentalizzata dal bisogno indotto che possa condurre o servire a qualcosa, fosse anche cosa molto personale ed intima.
Così ci vorrà ulteriore follia ad abbandonarsi alla fiducia illimitata, esercitarla in modo cosmico e trasparente anche quando si è frantumati nell'anima, vivere ogni momento come se fosse l'ultimo. Tanto, prima o poi, lo sarà davvero.
Dev'essere un dono fatto con la più limpida unilateralità, totalmente disinteressato dei suoi effetti.
E' vero che ho concesso la mia totale fiducia al novantapercento delle persone con cui mi sono relazionata; è vero che, di queste, l'ottantapercento l'ha tradita; è vero che non cambierò mai comunque.
A ben pensarci, nell'uso comune 'dono' è lemma dall'accezione comunque mercantile, anche quando non presupponga scambio di beni materiali, e nel contempo, inoltre, quando investito di spiritualità, ha sapore mielosamente religioso, cosa che -nell'inequivocabile deriva ipocrita e strumentale che caratterizza le religioni- mi consiglia di sostituirlo piuttosto con il più lato e sano 'accoglienza'.
Sta bene, allora: di natura, attraverso un meccanismo che si avvia da sé spontaneamente, io, caparbiamente, accolgo.
Potrei poi, talvolta, anche raccogliere, se non che, per ora, non ho più le energie sufficienti ad affrontare le ulteriori complicazioni della conseguente restituzione.
D'altronde, aver voglia di abbandonarsi all'assenza di tensione, pregiudizio, cautela e timore -che mille supposizioni e calcoli possibili sopra il sedicente merito dell'oggetto da accogliere comporterebbero-, è anche espressione contemporaneamente di forza e libertà.
Per me l'esercizio della libertà almeno metafisica è autentica questione di sopravvivenza.
Così io mi muovo: talvolta accogliendo, con clamoroso errore, anche l'intruso immeritevole. Ciò che conta è saperlo poi mettere alla porta senza esitazioni.
Infatti è altamente assurdo occuparsi degli effetti delle nostre determinazioni oppure del loro ritorno in termini di guadagno anche immateriale.
Ma a che cosa può mai condurre una vita di prudente prevenzione? E' ridicolo, perché noi morremo e se c'è una certezza inoppugnabile è questa.
Sulle affinità elettive -piuttosto- disse mirabilmente un poeta romantico, ed io ormai non acconsentirei più ad ammettere la mia indole romantica neanche sotto tortura.
Perciò, non le credo più possibili, giacché quassù, su questa crosta arida e brulla di strada metropolitana, perfino l'esatta interpretazione di un semplice sorriso è strumentalizzata dal bisogno indotto che possa condurre o servire a qualcosa, fosse anche cosa molto personale ed intima.
Così ci vorrà ulteriore follia ad abbandonarsi alla fiducia illimitata, esercitarla in modo cosmico e trasparente anche quando si è frantumati nell'anima, vivere ogni momento come se fosse l'ultimo. Tanto, prima o poi, lo sarà davvero.
È vero che non cambierai mai comunque.
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