domenica 5 febbraio 2017

Appunti antropocentrici -8- (lo schifo)

Mi fanno proprio schifo quasi tutti e me ne dolgo, perché lo schifo, tutto sommato, è un sentimento forte che so perfettamente essere esageratamente magnanimo per i lombricoformi-mentali che pullulano ovunque, con le loro misere emozioni vermicolari, i loro impulsi intermittenti fievoli e presto svaniti, il tremolio degli insulsi chiacchiericci virtuali esclusivamente finalizzati a permettere la lievitazione di un insopportabile narcisismo incontenibile.
L'ipocrisia intellettuale, inoltre, è il cancro inguaribile che mina ogni rapporto umano e sociale, ed è enormemente disgustosa.
Consapevole che ciò potrebbe dare adito a meschini fraintendimenti e ad interpretazioni un poco piccate e squallide -ma, data la provenienza, prevedibilissime- mi trattengo dal chiedere ai loro epigoni e piaggi se siano consapevoli del fatto che il narcisista che applaudono sorride loro per una forma lieve di gratitudine del suo stesso tronfio ego continuando però a considerarli solo esseri accessori ed infinitamente a lui inferiori.  

Consideriamo un punto d'osservazione qualsiasi: i frequentatori dei social.
Esiste un'enorme quantità di loro che ritiene doveroso e sinonimo di appartenenza alla realtà (ossimoro!) l'avere un account e sparare cazzate in serie, nella quasi più completa e spudorata libertà di scelta di temi ed oggetti.
Ci sono gli imbecilli nudi e puri, spesso quasi analfabeti, le cui esternazioni non necessitano né di indagini né di supposizioni: livelli stereotipati infimi di argomentazioni ed interessi predispongono alla serena indifferenza, ma ci sono pure quelli che non possono avvalersi di una simile attenuante: hanno fatto due scuole, letto qualche libro, affermano di sapere di non sapere nulla senza però crederci, e non tacciono mai, mentre elogiano la saggezza del silenzio. Ebbene: questi mi fanno veramente, ma veramente molto più schifo.
 
A ben pensarci mi hanno sempre fatto schifo, in generale, quasi tutti quanti, ma senza alcuna intenzione e perfino inavvertitamente: la ripugnanza è reazione istintiva, ferina, automatica, probabilmente suggerita dalla necessità di difesa e sopravvivenza o da un fremito di raccappriccio dell'anima, che si avvale di risorse imperscrutabili ed infallibili, mortificata da ciò che è troppo brutto.
Ultimamente ogni cosa è oscenamente brutta, il brutto impera, nel pubblico e nel privato, ed ovunque sonnecchia e ristagna la malattia oscena dell'egoismo indifferente.
Non è il male di questo tempo: è il male di sempre, il male d'essere umani.
L'umanità mi fa decisamente schifo.

Mentre alle scuole elementari ed alle medie mi terrorizzavano come fossero minacciosi alieni, dato che avevo vissuto la prima infanzia protetta dalla dolcissima madre e dal piccolo nucleo parentale, alla scuola superiore -ricordo con diverso spavento-  mi facevano schifo quasi tutti i miei compagni di classe e non perché io fossi così sconfinatamente diversa da loro nella profondità dell'indole -cosa assolutamente vera, ma non  per questo questione dirimente-, ma piuttosto perché loro avevano, nonostante le formali singole diversità, un sostanziale comune arroccamento immaginifico del loro futuro, che altro non era se non l'ovina predisposizione mentale ad accettare il  "destino di tutti", come se fosse esistita davvero una legge superiore e naturale che li avrebbe poi sistemati nel loro ruolo,. da adulti.
Niente immaginazione, niente sogni, nessuna fantasia. Che schifo.
 
Ed io che mi vivevo, invece, come vulcano dormiente in attesa dell'esplosione di talmente tanto amore ed energia e felicità e bellezza da guarire il grigiore e l'orrore del mondo...

5 commenti:

  1. il sismografo impazzisce più della scossa
    o una requisitoria impeccabile attenua la sentenza?
    quando la tela del disegno non fa una grinza
    o è troppo corrugata
    bisogna cominciare a preoccuparsi
    perché il mare più fedele è sempre quello mosso
    con onde di tempesta che non ci amano
    e che noi non amiamo
    ma di acque alle quali apparteniamo
    ché al di fuori di questa comune differenza
    c’è un silenzio irreale
    da nero degli abissi

    e la scala reale non serve
    a condividere il “piatto”
    ma a rimanere debitori
    dietro gelate colonne di ragione
    di gettoni che nessuno sa amare

    il male poi non è quello di sempre
    ogni stagione ha il suo
    e questa offre il peggiore
    ma indicarlo dall’isola dell’ uno contro tutti
    non debilita il raggio della sua definizione?
    per il resto sottoscrivo con un trenta e lode
    ma i voti eccellenti non sono un po’ sospetti
    e i bei compiti solo da incorniciare?

    Stefano Cardarelli

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    1. Magari invece questa non è che la confessione di una resa dopo la stagione, davvero lunga e stoica, di sforzi prometeici rivelatisi ingenui e ridicoli.
      Bisogna pur crescere, una volta superato il giro di boa di quel mare.

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  2. La crescita la vedo solo all'interno di quel/questo mare... e comunque, la poesia segue rotte tutte sue, in genere anzi le decostruisce e le riassembla, le disloca, scarnifica, mette a nudo, cerca di far luce per vie traverse, non è perbenista, radiografa malattie… esige risposte nella stessa lingua… un dialogo tra prosa e poesia lo vedo difficile, sono su due “passi" diversi

    Stefano

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    1. certamente difficile, ai limiti dell'impossibile.
      Ma io non sono Saffo.

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    2. Allora proseguiamo accantonando i versi

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