domenica 9 ottobre 2011

Nebbie

L' amico Luca ha assolutamente ragione: la perfezione ha velleità diaboliche e comunque disumane.

Ma cercare la verità, invece, e ribadisco cercarla, è un obbligo istintivo -comunque e sempre- perché essa bussa e scalpita alle porte dell' intelletto, e di un qualche altro nonsoche, giacché scaturisce da un autentico bisogno innato e, come tale, esige soddisfazione.
Innato, primario, perfino organico e biologico.
Anche il più disinvolto degli ipocriti, od il più abile dei manipolatori, non può dissociarsi da sé stesso al punto tale da evitare l' inevitabile e personalissima sua tenzone con il bisogno di verità.
Quando si fa notte, almeno nelle nostre stanze interiori - pur se la nostra stessa corruzione  e gli espedienti della sopravvivenza e dell' adattamento al consorzio umano (in cui fatalmente il caso ci ha posti per vivere questa manciata di giorni, o che abbiamo deliberatamente scelti) sembrano ostacolarlo-, la verità esige di esercitare il suo ruolo, che è, sostanzialmente, quello di far ordine e di ripulire la coscienza da pretesti, orpelli, ambiguità con cui ci si è più o meno a lungo ammennicolati. Ce lo impone spesso con la durezza che deve essere sua prerogativa, od anche con  la bonaria diligenza del buon padre di famiglia.
O così sarebbe -pare a me- cosa buona e bella.

Per questo, non mi riesce sempre di soprassedere ed accettare talune contraddizioni che osservo negli altri. Non è pretesa di una sedicente perfezione, né una presa di posizione, non è un principio né un esercizio di stoicismo, ma bensì una vera necessità . 
E' la ragione per cui molti dei rapporti umani, nella mia vita intercorsi, sono finiti. Anzi, è la ragione per cui sono finiti tutti: sentimentali, professionali, amicali o sociali che fossero. Certo, molte volte avrei potuto idealmente mettere sui piatti della bilancia della valutazione ciò che sentivo cattivo e ciò che sentivo buono,  cioè falso e vero, fare "pari e patta", e tirare avanti in una specie di equilibrio, vagamente soporifero e sempre conciliatorio.
Ma io non voglio.
Io voglio, magari per un solo istante tra mille, gioia vera, senza contraffazioni, di quella che sale gorgogliando dalla pancia e crea una specie di atmosfera leggera e rarefatta a livello del plesso solare, spesso con tuffo avvitato: moderazione e medietà, nelle vicende private ed intime, non mi provocano che la tristezza e la mortificazione dell' eterno rimpianto di un' Idea da realizzarsi sempre e certo altrove.
Nel sospetto di subire l' altrui raggiro e la menzogna,  il plumbeo peso della disillusione mi schiaccia al suolo, paralizzandomi impietosamente, ed inibisce  qualsiasi altra possibilità di dialogo e rapporto.

La carenza di verità, però, non sta soltanto nella dichiarazione del falso, ma anche e forse più nelle omissioni, negli oscuramenti, nella malafede pur se inconsapevole, nell' imbarazzo.

... Imbarazzo. Gli umani annichiliscono spesso a causa di malcelati, istintuali, sordidi, goffi sentimenti di reciproco imbarazzo.
Ma non c'é davvero ragione di provare alcun imbarazzo di fronte ad un essere umano. Egli è -che gli piaccia o meno-, sempre un simile.
Proverà dolore, piangerà, avrà qualche assaggio di effimera felicità, si innamorerà mille volte e mille volte penserà d' aver conquistato l' amore eterno, e poi, logorato dai suoi mali o dalle sue stesse velleità, morirà. Inevitabilmente.

Il destino è lo stesso, per tutti. E provare deferenza o timore, o complesso d' inferiorità o superiorità, alla luce -anzi al lumino- dello stesso destino è ridicolo.

Così, molto pragmaticamente, forse unico e certo elemento di verità nella nostra vita è la nostra sicura morte: del suo inoppugnabile arrivo c' è da fidarsi sempre.
Nel frattempo, io vorrei sapere che farmene dei rapporti con gli altri morituri, perché si dà il fatto che avverta ormai sempre più pressante il bisogno di evadere dalla noia che i troppi espedienti del vivere più o meno espressamente legittimati nel consorzio umano mi provocano. Io non posso usarli, mi ripugnano.

Vorrei chiedere a certi blogger, ad esempio, che inizialmente mi piacevano ed ora mi deludono: "Perché siete diventati così stucchevoli e banali in diretta proporzione all' aumento del virtuale gradimento? Farsi titillare l' ego a suon di scambi un po' mielosi è abbassamento, non elevazione"
Trattasi di libero esercizio di scelte, certamente. Ciascuno goda come può. Ma che noia.

Ma non lo so.
So ciò che non voglio, so con sicurezza quali siano i difetti, le ambiguità, le bassezze, le meschinità e le debolezze che mi ripugnano nei miei simili,  ma non riesco ancora a tracciare con precisione il tipo umano la cui esistenza -se non fisica conoscenza- mi conforterebbe.

Sono sempre più lontana dall' agognato abbozzo di definizioni nella mia vita, so che in troppo fitte nebbie anche il più navigato dei nostromi perderebbe la rotta, ma l' iceberg su cui poggia questo mio vascello s' è da troppe miglia staccato dalla banchisa, e non riesco nemmeno a sentirne nostalgia; dev' essere così che ci si perde definitivamente, o ci si libera -forse è lo stesso-: smettendo di rimpiangere il mondo.
Ma questo lo scrivo qui, avvicinandomi ad atolli sconosciuti da straniera. Quando poso piede a terra, nessuno, nessuno lo sa, nessuno l' immagina.
Ignoravo, da giovane, questa mia maestria nella resistenza.

4 commenti:

  1. C'è un punto però che non capisco: scrivi "non c'é ragione di provare", ma uno mica prova ciò che vuole provare, prova ciò che prova! Abbiamo degli apparati, che non ci siamo certo progettati a tavolino, che si nutrono incessantemente di esperienza, la filtrano e la ricombinano come vogliono, in maniere del tutto oscure, e su questa base emettono sentenze (in termini più scentifici "marcatori somatici": bello, brutto, gradevole, sgradevole, esaltante, vergognoso, pauroso ecc.
    Questo apparato è meraviglioso e miserabile al tempo stesso. Ci sono voluti miliardi d'anni a modellarlo. Io cerco di non tormentarlo troppo, poteva andar peggio. Un saluto :-)

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  2. Effettivamente, Elio, quella mia riflessione è fattibile sempre 'dopo', a mente fredda, in un clima personale di revisione meditativa, quando si tentano interpretazioni dei modi d' essere, nostri od altrui, che in qualche modo offendono, od umiliano, o feriscono la sensibilità di chi li subisce. Forse io, meno saggia di te, tormento troppo l' apparato :-) e non mi rassegno ai suoi dettagli più meschini, ma il mio fine -probabilmente maldestro- è sempre quello di azzerare le distanze, di aumentare la sintonia. Cosa che, invero, non mi riesce per niente. Buona serata, ed un caro saluto a te.

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  3. Lo scrivo perché quello che mi ha frenato fino ad ora era imbarazzo e tu scrivi che non c'è motivo di provarne.Avevo bisogno di questo post, in questo momento.
    Ciao grazie

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  4. @Giovanni
    Io ho sempre la scomoda impressione, avvicinandomi ad un altro umano, che egli supponga. Supponga di aver capito -di me, ad esempio, ma la valenza è generale- che io sia così e così, che pensi questo o quello, che sia di sinistra o di destra, che mi piaccia o non mi piaccia il gelato allo yogurt...: trae conclusioni che si avventurano sul mio universo interiore da elementi più o meno evidenti, spesso casuali o fortuiti, e dalla sua personale attitudine interpretativa. Generalmente sbaglia, e questo può inficiare ogni dialogo eventuale successivo.
    Ciò che io vedo, invece, immediatamente, davanti a me, è il fratello di sventura, laddove la sventura non sta nella certa morte -che è fatto universale e naturale-, ma nella consapevolezza perenne del suo inesorabile arrivo. Tutto ciò è talmente grande da polverizzare qualsiasi imbarazzo, almeno come incipit.
    Un caro saluto a te.

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