Posto che il raccolto più abbondante dell'esistenza è costituito da disillusione e delusione e che nessuna delle due è evitabile all'umano, e data l'insaziabile e furiosa attitudine al sempiterno desiderio di rinnovato piacere, rimane altresì sconfinata la gamma delle passioni che lo irretiscono, rendendolo al contempo paradossale e ridicolo ma anche saggio -di una saggezza tutta istintiva-, perché se esiste davvero un'azione encomiabile e degna di rispetto, nell'uomo moderno, questa sta tutta concentrata nella rara capacità di resistenza alla Noia suprema di cui l'esistenza, straziata e svilita di senso, suo malgrado, nella modernità stessa, rimane impregnata ed intossicata.
La premessa, naturalmente sottesa, è che la Vita annoia. Annoia a morte.
Io, però, non sono capace, non so tergiversare, non trovo alcun ristoro nel deserto: non ci provo più a raggiungere la palma di quell'oasi che pare delinearsi, dato che l'autoinganno mi è assolutamente impossibile e so trattarsi di miraggio.
Sono incapace di appassionarmi, ormai, si ché dovrei dirmi, nonostante la durezza impietosa della mia situazione personale, lo sfinimento, lo scoramento, l'assenza assoluta anche del più prossimo futuro, una persona interiormente libera da qualsiasi desiderio-paccottiglia.
Infatti.
Io sono libera -me lo ripeto come un mantra- di mantenere inalterate, incorrotte, innegoziabili ed inappagabili le mie vere intime aspirazioni.
Qualcuna ancora la ignoro io stessa, ma so invece, con matematica certezza, quello che non voglio, che non posso a nessun costo accettare, che non mi scomodo neppure un po' a mediare e limare con compromesso.
Altri, nel gioco della partecipazione, che identificano con la testimonianza tangibile d'esistere, cavano qualche soddisfazione. Ne resto interdetta.
La Religione, i Papi, i Filosofi, i Politici Corrotti, tutti i Sedicenti Artisti: quel loro un po' sudicio e tristo parlarsi addosso, quel nostro servile e tristo ascoltarli e poi dibatterne illudendoci di fare esercizio d'intelligenza.
E' penoso.
Preferisco di no, preferisco di no, preferisco di no.
A che mi gioverebbe? Distrazione di un istante e poi, di nuovo, regale e maestosa, la Noia.
Vivere è uggioso, sempre; vivere di convenevoli per me è impossibile, per loro è languido.
La premessa, naturalmente sottesa, è che la Vita annoia. Annoia a morte.
Io, però, non sono capace, non so tergiversare, non trovo alcun ristoro nel deserto: non ci provo più a raggiungere la palma di quell'oasi che pare delinearsi, dato che l'autoinganno mi è assolutamente impossibile e so trattarsi di miraggio.
Sono incapace di appassionarmi, ormai, si ché dovrei dirmi, nonostante la durezza impietosa della mia situazione personale, lo sfinimento, lo scoramento, l'assenza assoluta anche del più prossimo futuro, una persona interiormente libera da qualsiasi desiderio-paccottiglia.
Infatti.
Io sono libera -me lo ripeto come un mantra- di mantenere inalterate, incorrotte, innegoziabili ed inappagabili le mie vere intime aspirazioni.
Qualcuna ancora la ignoro io stessa, ma so invece, con matematica certezza, quello che non voglio, che non posso a nessun costo accettare, che non mi scomodo neppure un po' a mediare e limare con compromesso.
Altri, nel gioco della partecipazione, che identificano con la testimonianza tangibile d'esistere, cavano qualche soddisfazione. Ne resto interdetta.
La Religione, i Papi, i Filosofi, i Politici Corrotti, tutti i Sedicenti Artisti: quel loro un po' sudicio e tristo parlarsi addosso, quel nostro servile e tristo ascoltarli e poi dibatterne illudendoci di fare esercizio d'intelligenza.
E' penoso.
Preferisco di no, preferisco di no, preferisco di no.
A che mi gioverebbe? Distrazione di un istante e poi, di nuovo, regale e maestosa, la Noia.
Vivere è uggioso, sempre; vivere di convenevoli per me è impossibile, per loro è languido.
"I would prefer not to" diceva Bartleby, il personaggio dell'omonimo racconto di Melville. Preferire di no, richiede molto, molto coraggio.
RispondiEliminaE il “no” aggraziato di Bartleby porta più scompiglio ed è più efficace del “no” gridato, platealmente ribelle.
EliminaStefano
@ Massimo @Stefano
EliminaE' tutto verissimo.
Il buon Bartleby esercita un coraggio forse neppure così intenzionale. In fondo è un combattente, ma caparbiamente fedele a sé stesso: non si corrompe, non si lascia espugnare, muore libero. Non si può che amarlo, con infinita tristezza.
Tra la religione, i Papi, i Filosofi (ma dipende sempre quali) e le intime aspirazioni esiste un’esigua striscia vitale su cui a tratti picchia il sole. Occorre attestarsi lì, a costo di danzare scomposti come degli orsi su un nido di zanzare. Dobbiamo salvarci dalle ombre con qualche marchingegno. I deragliamenti vanno bene. A volte perfino fingersi sciocchi.
RispondiEliminaStefano
Stefano, io sono un pessima attrice...
EliminaQuando si è sull'orlo del baratro c'è un'autodifesa che spontaneamente ci porta a strane movenze di salvezza. Non importa essere bravi attori, non si tratta di esserlo. Si richiede una buona autoparodia, l'anima doppia del clown. Bisogna deragliare Morena, se no si va a sbattere.
RispondiEliminaUn caro saluto, Stefano
Probabilmente il mio istinto di sopravvivenza e l'amore per un'Idea di vita più utopistico che non, hanno provveduto, almeno fino ad oggi, a dotarmi di un certo equilibrismo: viceversa, sarei morta. Credo però che ciò sia reso possibile da una certa mia capacità di sopportare il dolore, di usarlo per cercare di comprendere e per imparare. Anche l'ironia, ancor più l'auto-ironia, sono strumenti di salvezza, a patto che non diventino il solo mezzo per accostarsi alla realtà e rapportarsi all'altro: in quest'ultimo caso potrebbero nascondere semplicemente un narcisistico qualunquismo.
EliminaUn caro saluto a te
Morena, dall'altra parte non mi scrivi?
RispondiEliminaStefano
Sì!
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