giovedì 14 dicembre 2017

Piccola anima smarrita e soave -7- il pettirosso

Ho deliberatamente abbandonato, in un certo senso e nella misura in cui non ho potuto pur desiderandolo ridurre ulteriormente, qualsiasi occasione di mondanità e socialità.
Quasi tutti gli aspetti dell'alterità mi risultano pesantemente dolorosi e noiosi perché, quando sviluppati con lo spirito dozzinale di ogni prodotto di basso scambio umano, sono mediocri, inaffidabili e superficiali, e non ho ancora molto tempo da sciupare in cose vacue e vane: la ricerca di una qualche armonizzazione con la superiore e terrificante legge dell'assurdità che sovrasta la vita è un lavoro totalizzante e faticosissimo.

La sostanza degli scambi comunicativi, infatti, sta nel vuoto vertiginoso  e violento (e mi si passi l'ossimoro) con cui offendono l'anima affetta da filantropia o genericamente propensa all'amore.
L'anima buona ferita non porge affatto l'altra guancia, a dispetto di qualsiasi ridicolo catechismo formativo di ipocrisia, ma si ritrae negandosi ad ulteriori occasioni di ludibrio o sofferenza.
Chi ritiene che siffatta "autarchia" morale e solo conseguentemente di fatto sia in sospetto di presunzione o supponenza dell'animo umano preferisce considerare solo lo strato nebuloso, una troposfera dell'identità più facile a vedersi e quindi più banale, ma, soprattutto, non ha davvero la minima idea di quanto dolore infligga alle persone non già fragili ma ipersensibili una società di valori marcescenti, stupida in modo imbarazzante e squallidamente mercantile, dedita alle frivolezze ed indifferente alle tragedie pubbliche o personali, all'ingiustizia, agli orrori del mondo, al peso schiacciante del pensiero onesto, ineludibile per alcuni, che impedisce nel modo più assoluto di crogiolarsi nelle contraddizioni.

Che l'esistenza umana sia tenuta sotto scacco dall'invincibile fatale assurdità, che l'essere umano sia il solo tra i viventi a disquisirne e a disperarsene, che a lenire appena un poco la disperazione di tale consapevolezza esistano pochi espedienti, non è per niente una scoperta sensazionale: qualsiasi persona mediamente riflessiva ci arriva, magari anche solo alle soglie della maturità.
Ma m'inganno?
Forse m'inganno.
E' una delle tante mie (pie) illusioni?
Forse. E' possibile. Riconosco d'ospitare in me un'indole mistica tendente all'idealizzazione che però non prevarica l'altro suo aspetto, altrettanto vero ed altrettanto presente, razionalistico e critico.

Ragionevolmente, pertanto,  nella cruda consapevolezza che si vive senza motivo, senza merito, senza diritto, senza colpa, senza Dio, senza amore, il solo possibile antidoto al male d'esistere sarebbe la solidarietà tra i viventi.

" [...] Se potrò impedire a un Cuore di spezzarsi/Non avrò vissuto invano/Se potrò alleviare il Dolore di una Vita/O lenire una Pena/O aiutare un Pettirosso caduto/A rientrare nel suo nido/Non avrò vissuto invano." (Emily Dickinson)

Ebbene: è una poesia, e niente di più né di meno. La soave Dickinson, inoltre, per fatalità di nascita, poteva esercitare il privilegio di autoconfinarsi nella sua stanza a scrivere versi e contemplare un giardino.
La nascita è indubbiamente il nostro destino.

Di fatto, proveremmo perfino pudore a solidarizzare personalmente con qualcuno, rischiando d'essere fraintesi.
La gente non li vede proprio i pettirossi caduti se, come quel parrucchiere cinese che osservo al bar la mattina all'ora di colazione, non stacca gli occhi dall' iPhone neppure addentando la brioche, che ha afferrato a tentoni senza uno sguardo al piattino.

Come solidarizzare con chi si disprezza? Bisognerebbe astenersi dai giudizi. Ma giudicare non è forse inevitabilmente umano?

Visto?
Non se ne esce.

7 commenti:

  1. Il primo corsivo è tuo? e, se sì, perchè lo hai inserito così? Se è lecito chiederlo.
    Situazione paradossale la tua, schifi giustamente l'umanità che abbiamo attorno per motivi perfettamente indicati e lasci sul tessuto di un blog simili perle. Il virtuale rappresenta in genere un gradino se possibile più basso del contesto umano.
    Vorreinon essere frainteso.

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    1. Sì, Jack, è mio, ovviamente, dato che non è virgolettato.
      Uso il corsivo, in certi casi, per indicare il dialogo con me stessa, non didascalico, per intenderci.
      Capisco quello che intendi con il giudizio sulla virtualità e ne condivido abbondantemente la critica, ma questo mio blog, come certo hai intuito, non è altro che l'abbaino che non ho e su cui ho sempre vagheggiato fin da bambina. Di tanto in tanto ho bisogno di "esternare" qualcosa (scrivere è un innocente vizietto)ed essendomi indifferenti le ribalte e le folle come anche gli ammiccamenti untuosi, da un minuscolo abbaino la voce arriva solo a chi, per scelta, similitudine o piacere, vuole ascoltare.

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  2. Mi interessava capire il senso del TUO virgolettato per leggerti meglio, me lo hai spiegato grazie.
    Il vizietto di scrivere l'ho anch'io da ragazzino così come la passione per i luoghi isolati da cui osservare il panorama del mondo in modo diverso.
    Jack è morto ieri. Buone giornate senza untuosità.
    https://nessungiudizio.blogspot.it

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  3. "È la nostra sofferenza che ci porta insieme. Non è l'amore. L'amore non obbedisce alla mente, e diventa odio quando viene forzato. Il legame che ci unisce è al di là della scelta. Noi siamo fratelli. Siamo fratelli in ciò che condividiamo. Nel dolore, che ciascuno di noi deve soffrire da solo, nella fame, nella povertà, nella speranza, conosciamo la nostra fratellanza. Lo sappiamo, perché abbiamo dovuto impararlo. Sappiamo che il solo aiuto per noi è quello che ci diamo reciprocamente, che nessuna mano ci salverà se non tenderemo la mano. E la mano che voi tendete è vuota, come la mia. Voi non avete nulla. Voi non possedete nulla. Voi non siete proprietari di nulla. Voi siete liberi. Tutto ciò che avete è ciò che siete, e ciò che date."
    Ciao Morena, ti leggo da diversi anni, e oggi tornando a questo tuo ultimo post, mi sono venute in mente le righe de "I reietti dell'altro pianeta".
    Buona giornata

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    1. Siamo fratelli nostro malgrado,è vero, e paradossalmente tutti figli unici della sofferenza d'essere portatori di un'identità dalla quale non si può prescindere e che ci condanna alla solitudine.
      E' congrua, la citazione che hai riportato.
      Alla fine, da Seneca a Ghandi, a Leopardi, a Camus, e molti altri, l'istanza "salvifica" è sempre stata solo quella:l'uomo non ha che l'uomo.

      Ciao Dario,ti ringrazio e ti sorrido.

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  4. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  5. ti ho letta per caso stasera. anch'io mi ritraggo perché continuo nonostante tutto a credere nell'amore però ho capito che a me non è concesso.
    e adoro Emily Dickinson.

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