lunedì 4 gennaio 2016

Appunti antropocentrici -5-

Francamente, non capisco più niente di niente, mi sfuggono le dinamiche delle situazioni, private e pubbliche, che mi suggeriscono sensazioni di totale estraneità ed esclusione,  e non comprendo neppure più nessuno, come se avessi perso irrimediabilmente la chiave dell'appartenenza al consorzio umano: più ambisco alla chiarezza ed alla limpida pulizia comunicativa e più mi ritrovo sbarellata ed umiliata negli intenti.
Bisogna tacere, smettere di dare credito alle seduzioni del linguaggio, che è quasi sempre intimamente ipocrita, autocelebrativo ed egoista, determinarsi al fare e al dare, o al non dare e non fare nulla,  senza  più moleste ed inconsistenti chiacchiere?

E poi -a me pare-, mi si è come cementificato lo spirito a forza di errori, disillusioni, irrimediabile perdita di fiducia nel mio prossimo.
Davvero, non ne soffrirei così acutamente se non amassi così tanto e caparbiamente quello schifo di prossimo che non posso più idealizzare per raggiunti limiti di saggezza...

Terribile, la pietosa recita dei rapporti umani: un'intricata perenne acrobazia tra discorsi costruiti con mille parentesi, formalismi, vizi occulti e contraddizioni stridenti,  milioni di imperscrutabili sotterranei personali rinvii, postille, ritrattazioni, alibi. Insomma: un'entropia di significati, bugie, emozionalità, finalità confuse o fin troppo particolari, intenzioni e poi quasi sempre gli inevitabili e da me altamente detestati convenevoli.

Non c'è alcun dubbio, ormai, sulla totale inaffidabilità delle parole: le persone con le quali ne ho scambiate di più sono tutte risultate poi essere propense a scandalose ipocrisie, alla loquela mimetica di intrattenimento più o meno dotto e fine a se stessa, alla spudorata menzogna o  all'inconsapevole auto-raggiro, e più spesso che non hanno pure palesato una sostanziale vacuità.
Non che non sia umano -intendiamoci-: lo è totalmente, decisamente troppo, in modo sciagurato e fatale, ma  io non sono per niente specista e non tendo all'indulgenza, in primo luogo verso me stessa.

Eppure, nonostante l'amarezza, nonostante la frustrazione, nonostante il persistente disgusto, è per il dovere dello stare al mondo che il linguaggio ci è indispensabile.
La variabile, in questa missione,  è il mondo, vale a dire la vita fuori di noi: quello adatto va cercato, e poi trovato, a tutti i costi, con il dispendio di ogni forza, pena la totale dispersione di sé.

 

6 commenti:

  1. facciamo parte tutti dello stesso mazzo, chi più e chi un po' di meno. prenderne coscienza è già qualcosa e aiuta. un bacio, ciao

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  2. Dici bene. Grazie, carissima. Un bacio a te.

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  3. Nessun convenevolo, pur rinunciando ad una certa grazia.
    Perchè un blog? Perchè comunicare il proprio disappunto verso il genere umano? Io mi sono dato una risposta, sembra una scusa.

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    1. Intendi dire che si tratterebbe di un alibi per giustificare la defezione dal consorzio umano? Per quel che mi attiene non è sempre stato così, ma in fondo la presa d'atto della sostanziale natura umana richiede più coraggio dell'ottimistico fideismo. Perché un blog? L'ho scritto tante volte: spero ancora d'essere smentita.

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  4. No, per chi scrive sul serio con la mente e col cuore non servono alibi e da ciò che ho letto "il fideismo ottimistico" è lontano mille anni luce da te. La domanda era una curiosità intellettuale su cosa spinge un essere umano a contraddire senza speranza l'impotenza comunicativa di fondo tra noi; lo hai scritto di certo tante volte...cercherò la tua risposta nei post precedenti.

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  5. Solo gli uomini hanno bisogno delle parole. Per ingannarsi meglio.

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