giovedì 30 luglio 2015

"Piccola anima smarrita e soave..." -1-

Giacché,  pur costituendo la numerologia esclusivamente un dileggio senza troppa importanza, ho appena superato senza possibilità di appello la soglia dei cinquantasei anni (e lascio, anche figurativamente, il numero più spigoloso di un'età anagrafica), e poiché non mi sento neppure tanto bene, amerei rendicontare a grandi linee quel che mi pare di avere capito.
Penso sempre più  frequentemente alle ultime parole dell'imperatore Adriano nel capolavoro di Marguerite Yourcenar "Piccola anima smarrita e soave, ... Cerchiamo d'entrare nella morte a occhi aperti...": la solennità delle morti è commovente, ma non tanto quanto la consapevolezza delle innumerevoli illusioni che abbiamo consentito in vita. Bisogna cercare d'essere esatti, prima o poi, per non diventare ridicoli.

E' però necessaria una premessa.
Nulla, di quel che si dice e si pensa o si crede di pensare può vantare integrità e purezza: impermanenza e relatività sono la cifra del nostro destino e del mondo. Sarebbe opportuno tacere, sempre, se non fosse che per quello ci aspetta, imperturbabile, la prossima eternità e, nel frattempo, ci si cincischia con ridicole chiacchiere, generalmente supponenti.

L'insegnamento più importante è di una banalità sconcertante: nel dire qualsiasi cosa, su qualsiasi argomento, noi sfondiamo sempre porte aperte.
Non c'è affermazione che non possa non vantare solidarietà ed affinità ideali o culturali con qualcuno che, combinazione, è spesso l'interlocutore del momento.
Numericamente, gli accoliti ed i simpatizzanti di qualsiasi proclama saranno sempre un discreto stuolo , perfino nelle dichiarazioni più impopolari ed eccentriche.
Il dramma è più sottile: quegli usci spalancati danno quasi sempre in stanzette piccine, asfittiche, deprimenti, spesso vuote, e quando invece collegano ad un labirinto, questo è una trappola di vicoli ciechi. L'istinto di gemellaggio a tutti i costi è in noi invincibile e va a discapito, quasi sempre, della verità o del coraggio.
Nella stanza d'ospedale che vede accomunati alla degenza l'imprenditore milionario con proprietà per villeggiatura in Sud-America e l'operaio dalle garanzie lavorative sempre più precarie e salario miserabile, la compassione reciproca per le rispettive fragilità fisiche li renderà affini, sorprendendoli, su di un'eccezionale quantità di opinioni, soprattutto filosofeggianti e molto late. E' una recita ipocrita, ma inconsapevole: la paura, l'angoscia della seppur temporanea solitudine, li spinge ad amare chi nella loro vera indole odiano, o chi, in ogni caso, sarebbe più intellettualmente onesto odiare. In questo caso il privilegio dell'uno esiste grazie all'affossamento della vita dell'altro, eppure entrambi decidono di dimenticarlo, per reciproca convenienza morale.
" Buona parte dei mali del mondo provengono dall'aver uomini o troppo ricchi o disperatamente poveri... ": si può forse fingere di non saperlo?

Risulta prudente, allora, non credere a nessuno, non cedere alla tentazione di provare il mezzo gaudio che ci pacifica, quello stratagemma un po' meschino che ci coinvolge troppo spesso e  atto a  stemperare l'acido rigurgito della realtà, che rimane invece, di fatto e per definizione, indigeribile, ma anche a legittimare impropriamente l'alibi a non approfondire, scavare a fondo, sottoporsi ad indagini ed auto-indagini, combattere quel che sentiamo ingiusto.