lunedì 9 febbraio 2015

Potenti parole

Quando si farfuglia sull'insostituibilità del linguaggio per gli umani -dotazione, cioè, la cui elaborazione raffinata rende compiutamente umani-; quando, tronfi, noi umani decantiamo con compiacimento più o meno sotteso le meraviglie del sistema fonatorio che ci mette in condizione di parlarci, o quelle intellettive che consentono la stesura scritta dei pensieri, io mi sento invadere, sempre più spesso,  da una grande disperata tristezza con forte deriva ad amaro sarcasmo, perché conseguentemente mi sovviene l'inevitabile vacuità della maggioranza dei dialoghi che la nostra pigra e mediocre innata tendenza alla reiterazione dei rituali e cerimoniali comunicazionali ci consente di scambiare.
 
Le meraviglie della dialettica non salvano dalla solitudine o dall'isolamento interiori: sono esperienze, queste,  che non è possibile condividere se non formalmente ed appena epidermicamente, e quasi sempre sono legate ad una preesistente condizione di privilegio, quali il censo ed il ceto sociale d'appartenenza, che ne hanno favorito l'assimilazione.
Naturalmente, esistono molte varietà di linguaggi, ed in ognuna di esse gli scambiatori-umani sono costretti, con più o meno desta consapevolezza, a recitarne o mimarne come formule liturgiche gli elementi costitutivi.

Se agli albori della sua formazione uno degli scopi del linguaggio (che presuppone lo sviluppo delle facoltà intellettive)  è stato quello di prevaricare i gruppi di ominidi che ancora non vi erano arrivati; se è stato, dunque, uno strumento (tanto per cambiare) di potere tra gli uomini, ho l'impressione che non si siano fatti altri passi avanti da allora.

Non mi spiego, altrimenti, come mai quella tizia, che di mestiere fa la parlamentare-ad-una-o-due/tre-presenze-a-settimana, come centinaia d'altri suoi simili che stanno sul nostro pubblico libro paga, non abbia il minimo pudore ma abbia invece la tracotanza di affermare che il fatto di "non stare a produrre bulloni" ma di esercitare "attività intellettuale" (ché così si sentono molti politici: intellettuali), legittima il fancazzismo ed il parassitismo.


 


1 commento:

  1. Il potere, per antonomasia, appartiene a chi può. Il modo con cui viene esercitato o giustificato (Leggi, ad es.: diritto di Dio...) appartiene alle capacità intrinseche della persona o del suo staff (tempi moderni...). Così abbiamo emeriti ignoranti che predicano l'ignoranza con le parole approntate dai loro servetti di fiducia (cultura al servizio dell'ingoranza...), persone colte che si degradano a imbonitori di piazza o meglio piazzaioli per una manciata di voti, prostituti/e che grazie alla loro abilità professionale vanno a occupare posti alti... Insomma il potere è di chi può e tra questi "può" si scannano e abbracciano senza pudore in un continuo disequilibrio (apparente...) di cui noi facciamo le spese... dialettica? Forse, ma senza potere.

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