giovedì 4 dicembre 2014

Appunti antropocentrici -4-

L'altro non è mai puro.
Per quanto inizialmente tu possa desiderare ardentemente che lo sia, magari anche evitando di mettere gli occhiali sì da vederlo in una nebulosa, o turandoti una delle due narici (ed il tutto in forza di una contorta forma di compassione e benevolenza verso te stessa, le tue patetiche illusioni, il tuo bisogno di fede), lui ben presto riuscirà a rendersi così evidente, o noioso, o ridicolo, o meschino, o ambiguo, da costringerti a prenderne onestamente atto.
La colpa, gravissima, che non puoi perdonargli, non è la sua oggettiva impurità -non esiste nulla di adamantino nella natura umana-, ma piuttosto la sua indifferenza sostanziale al tendervi, che altro non è che desiderio di miglioramento etico.
Non c'è bisogno di anelare, o precipitare, o innalzarsi ad improbabili traguardi di ascesi più o meno misticheggiante: basterebbe non insistere tanto sfacciatamente nella perpetuazione soddisfatta della propria miseria e pochezza morale abbarbicati a pretesti di fragilità e debolezza.
Ora, forse la capacità di tolleranza (e la conseguente deriva di innocuo buonismo) è inversamente proporzionale allo stato di sofferenza psico-fisica in cui una data persona si trova, ma certo chi versa in una situazione di stremo esistenzialistico, pericolosamente vicino al precipizio, non può più concedersi il lusso di sciupare le esigue energie nelle commedie e nelle pantomime di rapporti sociali insulsi e vuoti, conditi di penosa ipocrisia.
Preferiresti la volgarità del bischero che ti dice, senza mezzi termini: "... senti, Cosa, sto cercando di cavare qualche utilità o piacere da questo scambio, sennò chi me lo farebbe fare?...", al che, con speculare disinvoltura, tu gli potresti dire vaffanculo, ed è pace per tutti.
La sola scelta che rimane, quasi sempre, è farsi il vuoto intorno. E in quel vuoto fa molto freddo, freddo da morirne.

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I mondi paralleli esistono, senz'ombra di dubbio.
Non capisco il perché di tanti sforzi epistemologici per suffragarne la verità.
Per quel che mi concerne, in questa realtà io sono morta, o al massimo in condizione di pre-morte, altrimenti non potrei spiegare né la sopravvenuta consistenza lapidea della mia interiorità, né l'assoluta attuale mancanza di desideri.
Forse l'impossibilità di adesione, alla lunga, trasforma in ombre.
Quel che non riesco ad indovinare sono gli eventuali motivi per cui sono ancora viva di là.
Né sempre mi è chiarissimo se io sia di qua o di là.
Ne consegue che l'angoscia umana, probabilmente, ha invincibile e straordinaria potenza trasversale, più forte di tempo e spazio, onde consentire il compimento della celeberrima dannazione eterna.
 
 
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Avrei bisogno di neve, e silenzio, e di tundra desertica.
Sotto la neve -una montagna di neve-, sapere sepolte tutte le cupole, per sempre.
E' il solo modo per restaurare la grande bellezza.