mercoledì 7 novembre 2012

Respiro

Ad occhio nudo, dal terrazzino di casa,. il sentierino stretto ed irregolare era a tratti visibile. Lo si indovinava serpeggiare verso l'alto fino alla coppia di abeti, poderosi e centenari, che costituivano la porta del bosco.
La giovane donna vi saliva quotidianamente, ogni volta con identica  lieve apprensione, come se quello che udiva riecheggiare puntualmente in sé fosse un richiamo di cui ancora, nonostante gli anni di frequentazione del luogo, non potesse interpretare pienamente il messaggio, intuendone però l'assoluta necessità ed impellenza.
Ed infatti, quella singolare eco scaturiva da anfratti misteriosi di una memoria che forse non era soltanto sua, ma era appartenuta a molti altri prima di lei, come reminiscenza di un patrimonio condiviso.
Quella sera, le successe qualcosa di mai accaduto prima.
Le capitò, eccezionalmente, sorprendentemente, di respirare.


Prima di farne quell'esperienza precisa mai vi aveva posto attenzione e mai ne aveva avuto una percezione tanto viva ed assoluta.

Fu dopo essersi inerpicata per il sentierino e varcata la soglia, accolta da faggi lisci, argentei ed imponenti, rugosi larici ed abeti, felci, ginepri e noccioli, arbusti di mirtilli e piantine di fragole, odore di muschio e paniche fragranze resinose, che avvenne quella sorta di sequestro di ogni altra consapevolezza e senso che le permise di sperimentare, per la prima volta, il suo stesso respiro.
L'accadimento fu talmente stupefacente, per lei, che si ritrovò senza quasi averne coscienza a correre leggera sul prato, a braccia aperte, come per spiccare il volo.
Se è dato, ad un umano,  provare per un solo istante la felicità perfetta, essa deve essere  simile a quella: cosmica e leggera, e nel contempo immobile ed in attesa, come un prezioso fiore che voglia essere colto.

Ebbene: non esiste gioia più completa, né piacere estemporaneo altrettanto gratificante, del raggiungere, grazie ad una particolare condizione di armonia interiore, una sorta di sintonizzazione del proprio respiro con quello dell'ambiente circostante, se naturale, ameno, e mite.

C'è chi annovera tra i ricordi più cari gli eventi classici del vivere sociale, qualche riconoscimento, qualche amore, una nascita, ma lei continuò invece a porre questo episodio come una sorta di rivelazione, un sussurro confidenziale e specialissimo ricevuto, forse non immeritatamente.

Perché non si respira soltanto aria, soltanto ossigeno, ma anche armonia: energia diffusa, che abita ovunque, che rigenera, che vivifica, ma ciò che lo permette è l'assenza di conflitto e dolore acuto dentro sé:  dolori e conflitti  che schiacciano il petto e comprimono l'attitudine ad accogliere.

I dolori, puntualmente, insistentemente, la raggiunsero presto, perché il suo successivo vivere non fu un passeggiare, e lei smise di respirare, poi, limitandosi a permettere, suo malgrado, che l'automatismo pneumatico della sua macchina-corpo la tenesse semplicemente in vita.

***


Non si respira più, non si respira mai.

Questa incresciosa corsa alla sopravvivenza, giorno dopo giorno, lo impedisce ed inesorabilmente ammala.
Il rivoltante denaro che non hai che misura la tua libertà, la certezza che sia tutto perduto, i tuoi simili così dissimili, l'essere esule e ciononostante a casa, sradicata, oscenamente sola o approcciata da chi aspetta sempre corrispettivo, avvolta in un sistema civile ed economico privo di etica e gentilezza, senz'amore né più vera fantasia: ansiogeno sopravviversi.

Parlare attraverso la tastiera, sorridere ad un monitor, sapere che ai più basta e piace, rendersi bastevoli le stesse proprie  interpretazioni meno drastiche, per illudersi che gli uomini non siano troppo orribili e lontani: è malinconia.


7 commenti:

  1. spero sia un posto reale e non solo dell'anima. ciao

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    1. Lo è, Olympe cara: sta sul colle sovrastante un paese minuscolo nell'Agordino, in cui ho trascorso ogni mia bella estate (per dirla alla Pavese)dagli undici anni in poi, fino a quando, adulta, gli appuntamenti dolorosi della vita (la perdita prematura dei miei genitori), mi hanno reso troppo doloroso il ritornarci. Loro lo amavano quanto me. Si chiama Fregona di Canale d'Agordo. Scommetto che conosci la zona. :)

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  2. cara Morena, ti spedisco un abbraccio fraterno attaccato anch'io alla flebo del mio stipendio.

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  3. Che bello tutto quanto hai scritto in corsivo. Che bel respiro ossigenante di felicità.

    "si ritrovò senza quasi averne coscienza a correre leggera sul prato, a braccia aperte, come per spiccare il volo"
    Mi fai ricordare le mie uscite in bici da corsa, immerso nel verde ai piedi delle montagne, specialmente tra Barcis e Vittorio Veneto. Quando potevo permettermelo, ovvero nei luoghi più belli e senza traffico, lasciavo il manubrio e pedalavo a braccia spalancate, mangiando aria (ok, a volte pure qualche moscerino). Quelle braccia con i palmi aperti contro l'aria erano un vero bisogno fisico di esternare l'emozione. Un po' come fanno gli elefanti con le dumbe, per disperdere calore, io disperdevo la felicità in eccesso per non esplodere di gioia.
    Avrei anche chiuso gli occhi, ma forse non sarei qua a poterlo raccontare :o)

    Mi dispiace per ciò che viene dopo gli asterischi.
    Ciao.

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    1. Ciao, Kisciotte.
      Ciò che viene dopo gli asterischi non potrà mai comunque impedire alla ginestra di rifiorire nel deserto.
      Grazie. :)

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