domenica 19 agosto 2012

Progetto alchemico improbabile.

Non ospito neppure più l'ombra di un'ambizione, seppure l'atarassia rimanga comunque infinitamente lontana.

Se così non fosse, anche questo nefando dolore esteso ed infestante il corpo/mente non troverebbe terreno per espandersi, come invece va inesorabilmente facendo.
Tocco con mano la sua pervasività: dall'occipite ai lombi e via, verso il centro, dove si irradia ed intensifica creando poi la confluenza in quel nocciolo duro, a livello del plesso solare, ove, preferibilmente, staziona, pronto ad azzannarmi alla gola se mi distraggo.
Va bene, va bene, sei lì, bestione, ti sento: comandi tu, lo so.

So anche perché è successo: conosco cause e concause, da sommarsi ad un fatale determinismo d'indole e di geni.
S'è trattato di una mal riuscita miscellanea di tenerezza, malinconia e compassione unite ad una certa protervia (pur se non arrogante) nell'affidarmi al pensiero -ritenuto erroneamente capace di obiettività se esercitato nell'intimo- , la quale ha fatto sì che nei rapporti con gli altri la mia stessa magnanimità mi risultasse dannosa.
Infatti ogni sofferenza mi è derivata da loro, ai quali ho attribuito sempre qualità enormemente maggiori di quelle che effettivamente possedevano.
Nel mentre loro m'immischiavano nelle loro vite -che presto si rivelavano miserabili-, ed io mi avvedevo dell'errore di valutazione appena compiuto, l'inevitabile sforzo dello sganciamento mi fiaccava ogni volta anima e corpo.

Non ho ancora imparato a forgiare la necessaria cotta protettiva e preventiva e sospetto anche che non sia cosa che si possa apprendere mai.
Rimane l'astensione emotiva, pena l'autodistruzione.
Farsi freddi, farsi duri, farsi cauti, negarsi ogni coinvolgimento immediato.
E questa tecnica -per me innaturale-, pure, è dolorosa. Son lacrime e sangue, in perfetta solitudine spirituale. Di nuovo.


Fosse possibile creare un codice criptico in grado di selezionare automaticamente gli individui affini, e solo a loro accessibile e decifrabile, la questione sarebbe risolta una volta per tutte.
Perché la certezza è una: ho bisogno dell'altro, sono un essere più dialettico che contemplativo, ma non ne posso più del pressapochismo imperante, né dell'esibizione delle parole, né del rifugio nel silenzio, né delle azioni contraddittorie che nullificano le une e l'altro.
Mi piacerebbe stendere il più esaustivo dei cataloghi in cui elencare tipi e caratteri degli umani con cui non vorrei mai più frammischiarmi, distinti per genere -pure-, giacché le questioni sono specifiche ed uomini e donne non sono neanche lontanamente uguali.
S'avrebbe da recuperare  forse anche l'ancestrale attitudine alla comunicazione telepatica, ché potrebbe anche essere -ma non ho le prove- che da cervello a cervello, nell'immediatezza dell'impulso comunicativo, non possa passare la menzogna.
Insomma: vaneggio un sistema alchemico delle personalità e della vera essenza nei rapporti infraumani dal momento che non sono più in grado di tollerare né l'ipocrisia, nè la debolezza.

Ora ci lavoro. Al solito, son graditi i contributi.




7 commenti:

  1. Capisco perfettamente ogni singola parola da te scritta, essendo reduce, temporalmente parlando, da una simil sovravalutazione...
    Non ho alcuna idea di come ci si possa difendere...ho provato con l' " astensione emotiva " ma non sono costituzionalmente portata ed assemblata...dunque unico ed affidabile " metodo" per quanto empirico e non privo di dolore interiore e fisico, e' il tempo...inteso come fluire da un dolore lancinante ad uno sopportabile, ma che spegne ogni volta stellate parti dei miei utopistici sogni di vecchia ragazza...

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    1. Io tendo a farlo con chiunque, a prescindere.
      Alla fin fine, giacché il mondo -genericamente inteso- così com'è non corrisponde ai miei -certamente arbitrari- sogni o ideali o valori, me lo 'sistemo' un po', introducendovi a forza un'immaginaria Bellezza dove invece stanno limite e mediocrità. La parte vigile di me, in fondo, è quasi sempre perfettamente consapevole della finzione, ma è questo un'escamotage per sopravvivere.
      Un caro saluto.

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  2. Forse quel codice criptico è da sempre a disposizione.
    Forse è l'opacità dell'animo a rendere indecifrabile quel codice.
    Forse è la pulizia dei pensieri a rendere telepatici alcuni.
    Forse, nelle mani degli ipocriti e dei falsi, anche la telepatia sarebbe misero, avvilente, pericoloso codice.
    Forse è a tutela delle Anime Prime che tale codice elettivo - lo scarto minimo di fraintendimento nello spartire una percezione - sia alla portata soltanto di chi ha preziosità da comunicare, capacità di contenere. E trattenere.
    Farsi esperti, negarsi alle esperienze logoranti, preservarsi da fori e crepe sulle pareti dell'Io.

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    1. "negarsi alle esperienze logoranti" è impossibilè: quando te ne avvedi è perché quella già ha arrecato danno e logoramento.
      Semmai: negarsi a prescindere, il che comporta il conseguente rischio di non vivere affatto.
      E, bada bene: a tutto mi riferisco, nel post, tranne che alle esperienze più tradizionalmente dette 'sentimentali', teatro di scambi più intimistici e fin troppo legati alle mille variabili delle singole personalità che si rapportano.
      Forse eccentricamente, in un modo che temo possa essere sentito 'stravagante', io ho sempre investito di maggior pregnanza l'idea di amicizia (come molte volte ho ribadito)e ad essa attribuito potenzialità romantiche ben maggiori di quelle dei rapporti considerati invece tradizionalmente fulcro della vita di un individuo. (Credo fortemente che la vita di coppia ed il matrimonio conducano per loro stessa natura all'avvilimento della bellezza dell'incontro con un altro umano, e che la prosopopea sulla famiglia sia una squallida trappola di un sistema che ha altri e ben più scaltri fini di quelli che le nostre piccole imborghesite menti hanno deciso invece di credere, con buona dose di malafede. Ma, tutto sommato, ognuna la veda -e poi se la viva- come vuole...)

      Tornando al 'codice', però, io dispero.
      Ci vorrebbe l'anima sgombra, lieve, rasserenata.
      Non è più la mia, che sento oppressa da un fardello di esperienze troppo ricco e grave, e non lo è quasi mai quella degli altri, così oscuramente aggrovigliata nella loro complessità.
      Rimane l'entropia di mille pensieri, di mille intenzioni, speranze, velleità, reciprocamente incomunicabili.
      La solitudine è il nostro punto di partenza e poi anche d'arrivo.
      Purtroppo.

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    2. Sulla solitudine profonda, fondamenta più o meno celata o negata, ma sempre presente, che sta alla base di ogni esperienza e relazione umana, condivido il tuo sentire.
      La riflessione sul valore attribuito a relazioni amichevoli e relazioni amorose è interessante. Secondo me, semplificando un poco, si potrebbe dire che l'amicizia è relazione in prosa, mentre l'amore è relazione in poesia. Ovvero, l'amicizia prevede un confronto/incontro lento e peculiare. L'amore, dal canto suo, ha quel non so che di illogico, intuitivo, istintivo, cui è un peccato rinunciare a priori. Le gabbie della famiglia e del matrimonio, come istituzioni standardizzate, purtroppo a volte tarpano le ali a quell'oiseau rebelle che, imprigionato, si snatura, intristendosi, mancando anche della libera prosa d'affetto tra due amici.

      ps: Una cocciuta precisazione, a scongiurare l'immancabile, tenace fraintendimento che ogni tanto si insinua dentro il codice: le esperienze logoranti alle quali mi riferivo sono in questo caso quelle relazionali ad ampio spettro, tra persone, non quelle di attività fisiche. E in tutti i casi, se è vero che per dirle logoranti bisogna prima averne sperimentato il logorio, è anche vero che a volte - non sempre purtroppo -
      ci è offerta la possibilità di imparare dall'esperienza ad aver più cura di noi e non lasciarci più scavare/gravare addosso.
      Ciao :o)

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  3. Ci sono esperienze che è possibile fare ... dalle quali si può percepire che, sotto l'inevitabile solitudine individuale, gli esseri umani sono una sola persona.
    Nel vero profondo non c'è solitudine.

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    1. Nel vero profondo, forse, giace una sorta di ancestrale sapienza, o nostalgia, del bene potenzialmente possibile, della felicità semplicemente disponibile, senza quasi sforzo intellettuale. Ciò che è duro è abandonarvisi e lasciarla emergere, lacerando resistenze e corazze. Ma, come te, io voglio credere che sia possibile.

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