martedì 28 agosto 2012

Perdenti

Ma dove dovrei mai archiviarla questa memoria tanto satura, che dovrei farne dei troppi ricordi di un tempo non già 'migliore', ma almeno vissuto... Non so dove porla, ché trascinarla appresso è inaudita fatica e lacerante malinconia, ma, d'altro canto, il suo accantonamento presupporrebbe la dissacrazione dell'intera mia vita e senza sacralità anche il significato è perduto.
 
... a che mi serve, ora, quest'aura di eroismo -che chi evita accuratamente il coinvolgimento mi declama con ammirazione- per scelte coraggiose, o scriteriate, od obbligate dall'insopprimibile senso di dignità... ; a che mi serve se il dolore insiste, se la speranza non ha più contorni, se non c'è strada da calpestare, se i sedicenti miei simili, che tanto blaterano d'amicizia ed affetto, non investirebbero in un vero sforzo d'incontro una sola  e minima delle loro energie inutilizzate, giacché essi altro non sono che ectoplasmi, che narrazione di sé, maschere senza vero volto, tremanti e pavidi o -al contrario-orribilmente rapaci?

La realizzazione di ogni desiderio, anche il più elettivo e nobile, passa attraverso il lordume del denaro.
Ecco perché donne e uomini di questo tempo non hanno scampo e la loro realtà oggettiva è la perenne prostituzione.
La prima volta che ci si vende è quando ci si consente il primo alibi intellettuale: 'Devo accettare la mia complessità, la mia ignoranza, la mia contraddizione, la mia debolezza, perché sono soltanto umano'.
Menzogne schifose.
Il sinonimo di 'poveri e belli'  è 'perdenti condannati a morte'.
La purezza, qui, è colpa ridicola.

Mi guardo intorno.
Rimango stupefatta.
Nel ghetto dei puri non c'è più nessuno. Volteggiano ancora, come foglie d'autunno, come piume in gorghi d'aria, parole morte dimenticate nella fretta della fuga.



 

venerdì 24 agosto 2012

Abominio

Ma che cosa ci sto facendo, poi, qui a seminare pensieri in terreni tanto eterogenei, quando non aridi ed infruttiferi.
Ci sono momenti a questa tastiera in cui mi trovo io stessa abominevole. 
Negli altri, mi sento patetica.
 
Il dolore, è abominevole.
Quest'urlo soffocato, e la sua infinita eco in ogni cellula del mio sangue, è abominevole.
Che nessuno ne voglia sapere nulla, è abominevole.

Sono decine le piccole porte disseminate alle pareti del tunnel. Le ho socchiuse, ché la fiducia non mi difetta, innumerevoli volte.
Di tanto in tanto, sono entrata nelle stanze.
Ed in ogni stanza c'era un'isola abitata da un antropofago, o da un misantropo assediato dal suo stesso vorace e detestabile egoismo.
Vivere è orribile.
Continuare a richiudere porte è inevitabile ma ridicolo.

Sì, caro Massimo, lo è quando l'infestante dolore di cui nessuno vuol sapere logora anche la sporadica magia del momento.

Scrivere non serve a nulla: è un sollazzo per altri e una recrudescenza di patimento per chi amava l'uomo.
Vivere è contenimento di lacrime sciagurate fino alla follia, o alla compassionevole implosione.





domenica 19 agosto 2012

Progetto alchemico improbabile.

Non ospito neppure più l'ombra di un'ambizione, seppure l'atarassia rimanga comunque infinitamente lontana.

Se così non fosse, anche questo nefando dolore esteso ed infestante il corpo/mente non troverebbe terreno per espandersi, come invece va inesorabilmente facendo.
Tocco con mano la sua pervasività: dall'occipite ai lombi e via, verso il centro, dove si irradia ed intensifica creando poi la confluenza in quel nocciolo duro, a livello del plesso solare, ove, preferibilmente, staziona, pronto ad azzannarmi alla gola se mi distraggo.
Va bene, va bene, sei lì, bestione, ti sento: comandi tu, lo so.

So anche perché è successo: conosco cause e concause, da sommarsi ad un fatale determinismo d'indole e di geni.
S'è trattato di una mal riuscita miscellanea di tenerezza, malinconia e compassione unite ad una certa protervia (pur se non arrogante) nell'affidarmi al pensiero -ritenuto erroneamente capace di obiettività se esercitato nell'intimo- , la quale ha fatto sì che nei rapporti con gli altri la mia stessa magnanimità mi risultasse dannosa.
Infatti ogni sofferenza mi è derivata da loro, ai quali ho attribuito sempre qualità enormemente maggiori di quelle che effettivamente possedevano.
Nel mentre loro m'immischiavano nelle loro vite -che presto si rivelavano miserabili-, ed io mi avvedevo dell'errore di valutazione appena compiuto, l'inevitabile sforzo dello sganciamento mi fiaccava ogni volta anima e corpo.

Non ho ancora imparato a forgiare la necessaria cotta protettiva e preventiva e sospetto anche che non sia cosa che si possa apprendere mai.
Rimane l'astensione emotiva, pena l'autodistruzione.
Farsi freddi, farsi duri, farsi cauti, negarsi ogni coinvolgimento immediato.
E questa tecnica -per me innaturale-, pure, è dolorosa. Son lacrime e sangue, in perfetta solitudine spirituale. Di nuovo.


Fosse possibile creare un codice criptico in grado di selezionare automaticamente gli individui affini, e solo a loro accessibile e decifrabile, la questione sarebbe risolta una volta per tutte.
Perché la certezza è una: ho bisogno dell'altro, sono un essere più dialettico che contemplativo, ma non ne posso più del pressapochismo imperante, né dell'esibizione delle parole, né del rifugio nel silenzio, né delle azioni contraddittorie che nullificano le une e l'altro.
Mi piacerebbe stendere il più esaustivo dei cataloghi in cui elencare tipi e caratteri degli umani con cui non vorrei mai più frammischiarmi, distinti per genere -pure-, giacché le questioni sono specifiche ed uomini e donne non sono neanche lontanamente uguali.
S'avrebbe da recuperare  forse anche l'ancestrale attitudine alla comunicazione telepatica, ché potrebbe anche essere -ma non ho le prove- che da cervello a cervello, nell'immediatezza dell'impulso comunicativo, non possa passare la menzogna.
Insomma: vaneggio un sistema alchemico delle personalità e della vera essenza nei rapporti infraumani dal momento che non sono più in grado di tollerare né l'ipocrisia, nè la debolezza.

Ora ci lavoro. Al solito, son graditi i contributi.




sabato 18 agosto 2012

Provo la visualizzazione dinamica di Blogger. Qualche opinione oppure anche idiosincrasia?

Grazie per le eventuali e cortesi risposte.


mercoledì 15 agosto 2012

Risognare Speranza

E' atroce, veramente, pensare di dovervi rinunciare per sempre.
Non è possibile accettarlo senza consentirsi un'ideale fessura -fosse pure appena percettibile, magari anche solo intuibile- di accesso o di sfogo possibili in qualche tempo, in qualche luogo, domani, forse.
Domani, sì, vedrai.
La certezza di sapere che quanto dava piacere o forniva un senso è perduto e non sarà mai più, altro non è che la straziante anticipazione della propria stessa morte.

Quell'incantevole scorcio sul Tirreno; il minuscolo golfo naturale ove trascorrere ore senza tempo a stupirsi di quella miniera a cielo aperto di deliziosi sassolini perfettamente lisci ed ovali e lavata dagli spruzzi di piccole temerarie onde la cui forza era stata già domata e stemperata dai più arretrati scogli...
"Oh, questo è il più bello! Il Principe delle pietre! ... "Ma, ecco quest'altro! Sublime venatura, vellutato come pesca: il Re dei sassi...".
E raccoglierne uno, e riposarlo, estrarne un altro, per intravederne altri ancora.
Danza di piccolo futuro possibile, forse eterno.

Il primo, forse il solo dovere, stanotte, è risognare la speranza.





giovedì 9 agosto 2012

Dalle tane alle trappole.

Allora si usavano le soffitte dei finti rivoluzionari che si trastullavano con le utopie. Erano i nostri covi, le tane elevate, i micro loft freak del  momento. Dovevano essere in odor di proletariato, sennò non valeva.

-La maggioranza dei miei elettivi lettori -altra generazione-, non ne sa nulla, non ha colto quell'attimo. Quanto mi dispiace per loro. E pure per me, ché questo ci allontana un minimo dalla possibilità di  un tanto agognato ideale affratellamento. Ma, probabilmente, anche in questo mio stesso pensiero sto replicando l'errore di un tempo, e continuo ad amare sempre un po' di più coloro che, invece, non possono che amarmi molto, molto di meno.-

Io ero vera e loro erano falsi, ma al tempo non lo sapevo e non conoscevo l'uomo: a diciassette anni è già piuttosto complicato ed impegnativo svelarsi a sè stessi.
Vivere era, per me, una sorta di esperienza magica. Letteralmente.
Ingenuamente, immaginavo che lo fosse per tutti, ed in conseguenza di ciò li approcciavo con spirito affollato di simboli.
Erano simboli che brulicavano soltanto nella mia anima.
Ignoravo la mia condanna fatale di vestale di una malinconia inossidabile ed eterna, per diritto di nascita e di sorte.
A me pareva che con le note dei Birds, i Flauti Indiani, Dylan, la paccottiglia ma anche la genialità rock-romantica musicale dell'epoca, con le conversazioni bisbigliate sulle stuoie di canapa scoprendo senza infingimenti il cuore, con il miraggio di un mondo nuovo accarezzato in sogni che parevano condivisi, con i testi sacri di Kerouac e Miller, Kahil Gibran, Nietzsche, e lo stuolo degli esistenzialisti bizzarramente miscelati ai profeti laici, costruissimo un senso di appartenenza solido ed incorruttibile, capace di illuminarci per sempre.
Naturalmente mi sbagliavo.

*

"Sa quand'è diventata adulta? Sa quando si diventa adulti, signora mia?"
"Caro dottore, che risponderle? Sarà un processo individuale. Soprattutto graduale, direi. Dipende dalle esperienze, dai casi, dall'indole...Non lo so. Che importanza può avere, in fondo? Che domanda oziosa."
"No, lei non afferra la portata dell'evento. Adulti si diventa quando ci si riproduce. In quel preciso istante si posa la fiaccola, ma i giochi non hanno inizio: finiscono".

Aveva ragione. Tutti i miei amici sono morti e ciononostante respirano agevolmente.
Ed anch'io, d'altronde.
Perché lui, dai geni atipici, e nonostante, mi ha già da tempo uccisa.






mercoledì 1 agosto 2012

Prima che vile, completamente folle.

*
Nel sogno, l'altra notte, la madre era scultorea. Levigata e serena nei tratti del viso, mi guardava con estrema naturalezza, stupita del mio stupore. Indossava un camice da massaia, come uscisse dalla sua casa nel mentre stava riassettandola. I capelli folti e corvini, la carnagione naturalmente scura, la bellezza un po' creola che i suoi sessant'anni non avevano sciupata, il corpo minuto e forte.

"Mamma, sei tu,... Finalmente. Mi manchi sotterraneamente da nove anni, ed ora eccoti qui di fronte, come nulla fosse, al di là della morte."

Non è più stupore, nel suo viso: è incomprensione, impossibilità di empatia.

"Ma che dici, di quale morte parli... Io sono sempre stata qui, non me ne sono andata mai. Ricordo -questo sì- una notte di sogno particolarmente tenace e profondo, dai significati ostici e complessi, imprendibili. Per il resto, però, una volta risvegliatami, ogni cosa era ancora in ordine, uguale a sempre. Non vedi'? E' tutto a posto.
Ti ho sempre saputa strana, figlia mia,  ma giungere a darmi della trapassata... "


*

E' interessante: ho scritto, di getto, "camice". Camice è quell'indumento particolare -il cui corretto uso è prescritto minuziosamente nella liturgia cattolica-, che richiama l'idea della  purezza di Cristo.
'Camice' ha quindi reminescenza religiosa, e la religione nasce sempre in funzione ed a causa della  morte.

Se c'è una cosa che mi indispettisce delle religioni dominanti è il loro serpeggiante potere subliminale nella cultura laica: io sono atea e ciononostante impregnata di suggestioni cattoliche, mio malgrado.
Trovo, ad esempio, ineguagliabili alcuni monumentali prodotti sinfonici, come i Requiem di Mozart, Verdi, Brahms; ricordo momenti di 'immersione emotiva' profondissima nell'ascolto dei   Canti e Suoni della Morte di M. Mussorgsky, qualche coro ortodosso mi fa accapponare la pelle...
... eppure, da che ho memoria, ogni infingimento teologico, ogni dogma, ogni prosopopea, ogni incongruenza illogica, pur se giustificati dal nostro orrore del vuoto, mi rendono rabbiosa, mi muovono a stizza e disprezzo.

Perché la verità è che la morte altrui è una lacerazione che non conosce palliativi e la perdita di chi amiamo fin nelle radici dell'anima è inconsolabile, ed il trascorrere del tempo stordisce ed ottunde, ma non cancella e lentamente ci avvelena.

E chi procrastina la vita non immagina, non sa d'essere, prima che vile, completamente folle.