venerdì 27 luglio 2012

Atipici -2- concause

Ora, la causa principale della nausea metafisica che coglie l'atipica-tipo di cui dicevo nei precedenti nasce prima che dalla sostanza dei vari contenuti, dall'osservazione della confusa doppiezza dei comportamenti miscelata all'altrettanto confusa somma delle reali intenzioni che li muovono.
Si tratta del reiterato, puntuale e doloroso appuntamento con l'inaffidabilità degli umani.

L'atipica -che nasce ingenua-  deve farsene una ragione -come per un'infinità di altri accidenti della sua esistenza-, constatare la propria estraneità al suddetto fenomeno, trattenere i conati e cercare, caso per caso, la giusta reazione, che si compendierà comunque sempre nella definitiva disaffezione.

Li guarda -con il più totale distacco- gettare nel mondo le loro reti un po' patetiche, approcciare indifferentemente la tal personalità o il suo esatto contrario, dire ad entrambi quanto sono speciali e care, abboccare -dal canto loro- ad innumerevoli ami senza uno sguardo alla qualità dell'esca, venerare idoli vuoti, idoli furbi, a causa di un certo qual carattere servile e miserabile che fa loro dedurre con induzione elementare che chi ha qualche visibilità abbia anche valore -mentre è più vero il contrario, altrimenti vivremmo in un mondo 'giusto' e congruo, cosa che anche il più idiota degli individui probabilmente ha capito da sé non corrispondere a verità-, e le appare chiaro come il sole che tanto prostituirsi ad altro non tende che a procacciarsi atteggiamenti speculari in grado di nutrire la sua ributtante vanità o il suo miserabile edonismo.

Ora, un mondo di autoreferenzialità siffatta non serve a niente, non crea, non progredisce, non consente approfondimento, non produce amore né bellezza, non consente sincero scambio e si riduce ad essere una formale pantomima noiosissima e ripugnante.

L'atipica -che è una persona comunque sempre gentile- detesta  il lecchinaggio e trova ammirevole , invece, lo stoicismo, concetto tanto più a sproposito citato quanto più, di fatto, assente in genere nelle pratiche di vita. Il lecchinaggio è praticato, infatti, preferibilmente da chi è massimamente insicuro o massimamente avido di consensi, e mira in entrambi i casi ad incassare un  riscontro personale.
L'atipica odia ferocemente chi compiace gli altri in modo sistematico e compulsivo per ottenere benevolenza e simpatia, ma odia anche - e massimamente- i superbi che si arroccano su posizioni spocchiose a difesa della loro sostanziale pochezza umana, che il loro fare altero spera così di mascherare .
L'atipica odia inoltre chi ha tendenza all'aggruppamento e al corporativismo intellettuale: lei simpatizza per i Cani Sciolti, per i cani e basta, per quelli che piangono da soli ed in silenzio.
Vorrebbe abolire i Partiti Politici ed il matrimonio. L'atipica è, per forza di cose, una disadattata. Però insospettabile.

L'atipica qualche volta sta in internet e fa la blogger nel poco tempo libero per la semplice ragione che delle cose che scrive non avrebbe con chi parlare: è una pura speranza di comunicazione ed amicizia. Il suo concetto di amicizia è condiviso in  linea teorica da molti e praticato da pochissimi. In genere l'atipica è disposta a difendere gli amici pagando prezzi personali: da ciò ne deriva che essa è spesso considerata un po' folle. In rarissimi e preziosi casi la speranza si realizza.  Non ha velleità diverse di nessun altro tipo.
Da quando ha perduto la sua biblioteca personale per i casi della sua vita, inoltre, in internet assume molte informazioni e legge.
Per questo, nell'osservazione delle altre galassie virtuali, prova spesso grandi perplessità unite ad una certa compassione laddove intuisce la disperata ed impudica tensione di molti e molte blogger a farsi centrali a suon di reciproche sviolinate e -mi si perdoni- spesso anche di arroganti e deprimenti banalità e stupidaggini.
Grazie al cielo non l'ha detto lei che la quantità spesso inficia la qualità; no no: è stato altro atipico, ma millenni fa.

L'allettamento per la quantità, con quel nonsoché di volgare ed approssimativo che si porta dentro, è davvero una delle concause più notevoli di nausea.

Quanto appena detto è altamente 'atipico'.
Infatti, sia essa espressa dal denaro posseduto o desiderato, dal potere, dal codazzo di piaggi, dai civettuoli ammiccamenti, dalla popolarità, la tensione alla quantità è la vera molla dell'incedere dell' uomo attuale (e forse pure di quello passato) nel mondo.

Che cialtrone: guardate un po' dove l'ha portato...



domenica 22 luglio 2012

Atipici -2- Gli effetti.

"La mia vita era davanti a me, chiusa, sigillata come una borsa, eppure tutto ciò che vi era dentro era incompiuto.
Un istante, cercai di giudicarla. Avrei voluto potermi dire: "E' una bella vita".
Ma non si poteva formulare un giudizio su di essa, era un abbozzo; avevo passato il mio tempo a rilasciare cambiali per l' eternità, non avevo capito niente..."
(Jean Paul Sartre)
Almeno lui aveva individuato il problema: è un passo importante e significativo. Sapeva d'aver sbagliato nel procrastinare, nel concedere a sé stesso troppe pause di riflessione, nell'aver destinato al tempo a venire il pungolo di realizzare speranze, nell'essersi crogiolato in una melmosa e paralizzante ignavia. Oppure anche, forse, ricordava con il senno del poi un'occasione perduta precisa, sulla quale poter recriminare a piacimento ed all'infinito.

Io, invece, non so che dire, ed il problema non l'ho affatto individuato.
Ciò che so è che la cifra della mia vita è un disgusto talmente esteso e pervasivo -come pianta parassita e infestante dall'inarrestabile crescita-, che il solo modo per farlo smettere una buona volta e definitivamente mi pare quello di far smettere anche me.
Più mi lambicco il cervello e più ovvia mi appare quella deduzione.
Mi stropiccio gli occhi, come un bimbo che non crede a ciò che vede, o che, pure, anche avendolo messo bene a fuoco continua a non capirlo, ma non arriva alcun responso preciso né so individuare la fonte primaria della nausea: sta ovunque, come fosse l'elemento fisso di ogni altra combinazione.
Così come l'abbiamo reso, questo mondo mi dà la nausea.

Né cambierebbe qualcosa se la mia situazione oggettiva fosse più facile di quanto oggi sia, e la prova inoppugnabile sta nella mia stessa memoria.
Fino a quattro anni fa la mia vita era perfettamente 'in ordine'. Non lottavo per la sopravvivenza come devo fare oggi, avevo qualche parca sicurezza sociale, qualcuno di cui fidarmi, potevo soffrire o gioire per motivi precisi ma senza sentirmi oscillante su di un filo sospeso sopra un baratro di cui non scorgevo il fondo. Non era ancora avvenuto quell'abominevole grande squarcio che mi ha spezzato il cuore.  Ciononostante, acquattata, anche allora,  la Nausea era ugualmente latente e presente e bastava qualche minimo dettaglio per farla emergere in tutta la sua spaventosa enormità: l'acredine o la scortesia di un umano, la delusione di un giudizio accordato  rivelatosi poi troppo generoso, una dimostrazione di miseria e bassezza morale, la vista della caducità di ogni cosa.
Ecco, sì: è anche questo. La consapevolezza della morte di ogni cosa e finanche di ogni sentimento è massimamente disgustosa e talvolta penso che chi ha inventato Dio l'abbia fatto appositamente per poterlo maledire nei momenti più intollerabili dell'esistenza.

S'incorre spesso nel dire, in ottemperanza al comune pensare, che la vita è comunque bella: un'affermazione semplicemente nauseante, di una leggerezza imperdonabilmente caparbia e totalmente sorda al vero dolore.

Noi professionisti del tormento lo sappiamo bene, invece, che qualsiasi finzione non è che un pietoso espediente per tergiversare e che la vera soluzione non contempla menzogne.
Ai miei simili con bocca dello stomaco serrata, vorrei riuscire a fornire una piccola lista di eventi ributtanti che rendono tanto grama ed eroica la nostra vita, partendo dai miei ricordi e riflessioni personali. La prossima volta.
Intanto vi abbraccio.


venerdì 20 luglio 2012

MetAmore

In una catena logica di piccole considerazioni,  quando anche soltanto uno degli anelli non risulta collimante ai personali parametri e valori, succede spesso che il dialogo si perda e si vanifichi.
Anche amare l'altro è un esercizio dialettico, tutto sommato, ed è per una delle innumerevoli occasioni di fraintendimento che gli amori finiscono sempre o sono impediti nel nascere.

La cosa più facile è accusare sé stessi, fomentare un perenne senso di colpa, addebitarsi un'inguaribile e frustrante inettitudine alla chiarezza, nonostante lo sforzo di mostrarsi limpidamente faccia parte della stessa propria natura.

Ogni parola racchiude in sé un nocciolo di opinioni, un universo di presupposti, una storia personale infinita impossibile da raccontare, impossibile da condividere se non, fortemente, volendolo.
Chi ama qualcun altro è questo che dovrebbe fare: volerlo.

Ma io non ho mai mentito, comunque, a prescindere da quel che altri hanno potuto o voluto intendere. Ho sempre amato l'amore: niente può farmi sentire tanto libera quanto seguire quella sorta di scia benedetta e furiosa che monda da ogni viltà, che eleva da ogni bassezza, che sa livellare, in elettivi effimeri momenti, le punte e gli abissi dell'universo interiore consentendogli così di librarsi ed espandersi nel cosmo.
Perché, per me, amare è questo, esattamente: farsi cosmici, spezzare i legacci, irridere le piccinerie non tanto terrestri -ché la terra ha la sua propria nobile funzione se non altro perché ispiratrice e trampolino di lancio di ogni sogno e fonte prima di conoscenza-, quanto culturali e sociali.
Concetto confuso?
No, soltanto impervio, io credo.
Perché la metafisica dell' amare, evidentemente, è soggettiva, ma anche terribilmente velleitaria ed aspirante all'assoluto, e, giacché l'assoluto è quanto di più distante da una laica rappresentazione dell'essere, l'amare rimane apirazione frustrata e dolorosa: non si riesce a dargli una qualche forma per esprimerlo che non sia guastata da qualche umano vizio o compromesso.

La generalità degli amori di cui ho udito il racconto o che ho direttamente sperimentato non sono che un misero quantum dell'idea di amore che in genere si accarezza nella propria mente, e questa è certo una colpa, solo in parte limitata dalla successiva defezione.
Spesso, laddove emerge un vuoto vi si immette un'intollerabile prosopopea moraleggiante.
Invece l'amare me lo immagino  divertente, leggero (spontaneamente facile), piacevole, instancabilmente dialogico e nel contempo profondissimo.
Io, però.

A qualcuno piace silenzioso.
A qualcun'altro simbolico.
Ad altri epidermico e tattile.
Ad altri regolamentato da clausole.
Ad altri rassicurante e  soporifero.

Ecco perché adesso porrò la parola 'fine' su questo insulso post inutile in cui ho disquisito di nuovo su un'idea che, in quanto idea, non esiste affatto.


sabato 14 luglio 2012

Atipici -1-

Il sottostante scritto avrebbe potuto intitolarsi, avventatamente, "Tipi -9" ed aggiungersi ai precedenti in naturale sequenza. Per fortuna mi sono avveduta per tempo dell'insita contraddizione. Infatti qui sotto non si scrive di tipi umani. Qui entriamo con lenti speciali nei micromondi sempre sconosciuti.

*
E' da un po' che ci giro intorno, che tergiverso, che provo a glissarla, che ci edifico attorno e sopra -io che sono da sempre una creativa fallita perennemente dilettante- fregi e merli, pensieri architettonici in sovrappiù, ricami ideali e sfumati sfondi -coreografia di salvamento, malinconica strategia di disperata sopravvivenza-, e l'ho fatto per non essere precipitosa, od eventualmente ingiusta ed ingenerosa, ma stamattina ho avuto il coraggio di ispezionarmi con minuzia e distacco allo specchio e così l'ho vista, e, giacché la viltà, ai miei occhi, è il più ripugnante degli espedienti cui ricorrere per alleggerire il senso della nostra miseria esistenziale, ho dovuto prenderne clamorosamente atto.
Ovvero: lasciare che la verità di quanto ho visto e che da sempre conoscevo allo stato larvale, gocciolasse dentro, in stille incandescenti ed acide.
Lo scarafaggio kafkiano non ha più alcun segreto, per me: ci somigliamo come gemelli, ma fin dalla nascita.
Sì, perché scarafaggi si nasce, non si diventa. Scarafaggi si è all'origine, e l'orrendo risveglio rappresenta piuttosto il disvelamento compiuto, non già la fine di un processo di metamorfosi.

E' perfettamente conseguente la deduzione che una blattodea non ruscirà in alcun modo a sentirsi realizzata o compresa in un mondo d'umani-tipo, nonostante la sua stessa natura l'abbia obbligata ad un lungo processo di mute susseguenti, in cui, di volta in volta, lei rafforzava la sua folle convinzione -evidentemente suggeritale dall'inconsapevole  e sovrastante legge mimetica naturale- d'essere, per l'appunto, umana e finanche troppo umana.

Così, ora che ho smesso di girare ed ho spalancato gli occhi, mentre la pianto di cercare motivi e capri espiatori vari per motivare la mia  blatta.realtà, giusto per rendere decorosamente leggibile questo post, come fosse una novella un po' macabra, ma forse pur  sempre, limitatamente a qualcuno, di qualche interesse, elencherò qualche uso, accadimento e costumanza di uno di noi 4000 scarafaggi androidi esistenti.

  • Ogni vita è un non sense. Gli umani hanno escogitato tutta una serie di espedienti per convincere sé stessi che invece no e basterebbe cercarlo, o adottarne uno qualsiasi già confezionato ed in uso. Lo scarafaggio non ne è assolutamente capace perché dilaniato dal dubbio e da mille interrogativi di coscienza ed inoltre a conferma, per tutta una serie di straordinarie casualità, gli accadono le cose più assurde e rare. Da ciò se ne potrebbe anche dedurre che egli funga da parafulmine cosmico alle tempeste di sfortuna, ma, naturalmente, così non è, perché quest'ultima ipotesi investirebbe comunque di  un senso le sue sofferenze. Invece il senso -già s'è detto- non c'è mai ed è possibile soltanto fingerlo.
  • Lo scarafaggio -com'è comprensibile, data la sua eccentricità- non riesce sempre a tradurre in parole umane i suoi reconditi pensieri né a trasmettere fedelmente agli altri la giusta prospettiva per consentire loro di interpretarli, cosicché può succedere che nel mentre egli si arrabatta per rendere l' idea con una certa precisione, quelli son già partiti per la tangente più a loro confacente e sbrigativa.
  • Lo scarafaggio tira un mezzo sospiro di sollievo quando s'accorge che nei rapporti infra-umani succede pure così. Ma nel deglutire questa considerazione, ne sente tutto il sapore amaro. Perciò vi si oppone  intimamente (lo scarafaggio è sempre un idealista) e si sente, singolarmente e molto, oppresso da  pesante dispiacere.
  • Lo scarafaggio è inizialmente uno spirito di sinistra, a causa di un viscerale amore verso gli oppressi. Siccome aborre i compromessi, più tardi propende per un nobile ideale anarchico a-violento per poi, successivamente,  scoprire che quale che sia la bontà di un iniziale intendimento l' uomo saprà sempre e comunque corromperlo ed infestarlo di egoismo spicciolo. In conseguenza di ciò, lo scarafaggio non potrà più credere in nulla.
  • Esso ama molto intensamente, ma fino a quando ama e non un istante di più. Di ciò gli umani, che hanno istituzionalizzato l'amore, si spaventano e scandalizzano, ma a lui pare perfettamente congruo e perfino onesto. 
  • Lo scarafaggio detesta le mode. Le vetrine, i termini 'outlet- fashion' lo intristiscono. Non indosserebbe mai gli stivali sopra i jeans se non per andare a pescare peoci. Ha una certa sua idea di eleganza e stile, anarchiche pure quelle. Odia in egual misura la sciatteria e la trascuratezza. Ma tutto ciò appartiene al suo intimo gusto o disgusto e prova a non renderlo un pregiudizio che penalizzi i suoi rapporti con gli altri.
  • Lo scarafaggio patisce massimamente lo stress del vivere. Talvolta ha un lavoro pesantissimo anche fisicamente. Le sue zampette a sera gli fanno così male e desidera così tanto il riposo del sonno da crollare sulla tastiera. Rivolge un dolce pensiero ai suoi pochi amici e lettori, e s'eclissa nella sua piccola tana, prima che qualcuno, innervosito dalla sua petulanza, lo centri con una mela diritto al cuore.


lunedì 9 luglio 2012

Ideale e spleen

E' allucinante rendersi conto di quanto siano spesse le sbarre che delimitano la capacità di ascolto ed intuizione fra gli umani.
C'è qualcosa di più triste dell'essere resi oggetti di livore ed odio da chi prima ci amava, a seguito di una superficiale traduzione delle nostre intenzioni e delle nostre parole?

Chi vede in noi torbido vizio, laddove non c'è, è della sedicente trasparenza della sua stessa anima che dovrebbe dubitare.

Tutto questo spiega e giustifica ogni sventura: le emicranie da disillusione, l'inossidabilità del dubbio, l'isolamento, le guerre, l'uterina universale propensione all'infelicità.

"Stupidità e peccato, errore e lesina
ci assediano la mente, sfibrano i nostri corpi,
e alimentiamo i nostri bei rimorsi
come un povero nutre i propri insetti.

 Son testardi i peccati, deboli i pentimenti;
vendiamo a caro prezzo le nostre confessioni,
e torniamo a pestare allegri il fango
come se un vile pianto ci avesse ripuliti.
[...] "  (Charles Baudelaire)

Forse la nostra è davvero una specie insanabilmente corrotta, dallo spirito guasto e perverso, votata alla capitolazione in una Noia assassina.

Quale felicità l'incontro con un umano capace della stessa limpidezza e coerenza di intenti del mio cane!


sabato 7 luglio 2012

Crode e corvi

Ego smisurati, a forma di sconfinata mongolfiera, sui cieli del Web, incombono. Convergono disperatamente e caparbiemente verso l'idealizzato centro, ove lasciar risplendere quel folle fuoco che alimenta il volo, perché sia ammirato, perché dia loro un senso.
Ma il senso non c'è e non è stato mai.

Inoltre, invece -aguzzo lo sguardo-, sono corvi malinconici, che vagano senza tregua alla ricerca di cibo. Tanta è la fame, che basta sia virtuale, e poi virtuale diventa anche quanto più di desiderabile esista.
Così in questo enorme infingimento il bisogno nasce, in qualche istante s'illude, e poi smette.
Un desiderio in meno, un passettino di avvicinamento in più verso le braccia della grande equa mietitrice.
Desiderare è il solo modo in cui sappiamo esistere.

E' sempre, poi, tutto quanto, questione di semplice battito di ciglia: quanto basta per mutare il fotogramma sul quale concentrare la mente e reinventare di botto la sostanza stessa della vita.

Se fossi lì, lì dove sono già stata, sulla croda al di sopra del Laghetto dei Negher, e m'imbattessi, come allora, in quell'enorme branco di stambecchi, sarei occupata in altri e circostanziali pensieri, pur se -poniamo- la mia vita ordinaria fosse la stessa di oggi.
Sono costretta a farmi largo tra quelle paradossali capre dalle dimensioni di muli e la mia amigdala lancia qualche messaggio di timore: nessuno mi ha saputo dire se i possenti maschi che vegliano femmine e cuccioli potrebbero interpretare come potenzialmente minaccioso il mio attraversamento.
Proseguo lentamente, lentamente, lentamente. L'indefinibile globo acquoso dell'occhio del capobranco mi segue come ombra. Ombra gravosa: la preoccupazione muta in quasi-paura, non so niente di stambeccologia.

Che ne sarebbe della teoria dei corvi malinconici?
Più nulla, azzerata, vanificata.
Lassù ci sono i corvi neri, i corvi veri, rocce millenarie, il vento che le sferza, il sole che screpola le labbra, il silenzio, i richiami d'amore, l'eterna rinascita, assente all'uomo ed indifferente.

Forse siamo un esecrabile, irrilevante, incidente evolutivo.
Eppure, se riuscissi a convincermene fino in fondo, so che mi sentirei davvero meglio, e non inciamperei più nelle mortificanti occasioni in cui, tra umani, altro non sappiamo scambiare che acre frustrazione e miseria.




giovedì 5 luglio 2012

Tipi -8-

Sono totalmente in buonafede, cosa che rende l'intera vicenda assente di un qualsivoglia sbocco o di una soluzione.

D'altronde, è assolutamente possibile che la velleitaria coscienza di un sé stesso puro ed intellettualmente onesto conviva con il più radicale egocentrismo inconsapevole.
Se ad un passo dal precipizio, con il tuo ultimo sfilacciato impulso alla sopravvivenza, cerchi una loro mano salvifica, perché sei disperato, perché ti serve aiuto e sei mortalmente triste, essi -incapaci d'intuire il gelido fiato che sale dall'abisso che sta per abbracciarti-, ti diranno "Resisti, sapessi con che terribile mal di testa mi sono alzato oggi..."

Sono in molti. Probabilmente quasi tutti. Ma è così che ci ha voluti la matrigna Natura.

Io sono una bestia. Amo più gli amici che me stessa, non dormo se li so sofferenti per i loro casi, pospongo il mio al loro piacere, e mi rendo, così, semplicemente patetica.

domenica 1 luglio 2012

Cantando il barbarico Yawp sui tetti del mondo.

Perché la conoscenza guasta?

L'uomo è in perenne sfasamento temporale sé stesso/mondo.

(Io, io sono in perenne sfasamento tempo-spazio.
Con il cuore frantumato per i miei inenarrabili casi, frastornata da un'esplosivo coktail di geni un po' autodistruttivi ed un po' uranici,  mentre guardo la gente normalmente vivente e la sento dire le cose normali che s'ha da dire e di cui s'ha da discorrere, e leggo, pure, allo stesso modo, le congrue indignazioni per la  politica e per l'economia e per il malcostume e per le ingiustizie e per ogni altra cosa intellettuale e materiale che stride offende infastidisce, o anche il pathos romantico di chi è solo e non vorrebbe più, o le arguzie filosofiche, i tuffi nei pozzi teologici, e tutto il resto, mi chiedo dove mai io sia, ché là non ci sono, neppure impegnandomi al massimo. E mi chiedo, dal basso della mia oziosa razionalità, "sarò mica un' Asperger tardiva?", ed idealmente  m'involo, proiettandomi altrove ed in altro tempo. Che però non c'è. O non lo so. Bisogna 'farsi' qualcosa, qualcuno,  di tanto in tanto, sennò s'implode.

Ora provo: sto guardando il dvd  'Live in New York City  ", 2001, Bruce Sringsteen & The E Street Band. Funziona: divento creatura sognante ed onnipotente, potenzialmente gioiosa, posso essere qualsiasi cosa, e pienamente.
Mi scappa... la mossa del Boss e  della Band: chi l'ha visto, capirà.
Yawp! Era facile.

Per un po' d'istanti. Poi passa. Non mi piace neppure più:
è andata,
ed io ritorno."




L'asincronia e l'asimmetria tra il suo pensiero, la sua attitudine al sogno, anzi al suo barbarico sognare, prima di toccare la realtà, e la supposta esatta interpretazione di quest'ultima -poniamo sia, ad esempio, la fisicità e la concretezza di una persona prima avvicinata soltanto idealmente e poi conosciuta di fatto- attraverso gli elementi empirici, è la reiterata, eterna, inesorabile sconfitta del vivere.