giovedì 29 marzo 2012

Plurale maiestatico

- Suvvia, finiamola.
Finiamola con la mastodontica ipocrisia di lasciar intendere che i nostri intestini sentimenti, che la nostra coscienza più pura, che la nostra vera vera natura sono semplici ed elevate al contempo. Finiamola di addurre mille pretesti mollicci e friabili per acquietare le nostre più autentiche brame. Quelle ci lacerano le carni, mordendole da dentro, anelando alla manifestazione più oscena e senza più veli: è soltanto un certo retaggio ideologico ormai decadente che ci fa fingere d' aspirare alla bellezza. Noi non aspiriamo affatto alla bellezza. Noi aspiriamo alla sola crapula, estensivamente intesa.

-  'Bla, bla, bla...' Ma che hai? Di che parli..., datti una calmata, una buona volta. Riconciliati con il mondo. E chiudi sto cazzo di blog esistenzialistico e velleitario. Farai saltare i nervi ai Preziosi ed Elettivi, che già ti usano la cortesia di transitarci.
E poi, con chi ce l' hai?
Tu e quell' odioso plurale maiestatico ambiguo e supponente o -peggio del peggio-  sarcastico., o -fin peggio del peggio del peggio- amaro. Vittimisticamente amaro.
Non lo sopporto. Ti odio.
Non sei né papa, né rettore, né regnante: non lo puoi punto usare. E se il tuo intento è, invece, ironico, sappi che non è manco simpatico.
In ogni caso, che c' è di male nel desiderare il benessere ed il piacere? Non ti ricordi che i contrari non possono conciliarsi?
Benessere e piacere non possono per loro natura contemplare il male: che vuoi fare: becero moralismo in linea con il peggior pensiero clericale di stampo medioevale?

- Ah, così l' hai intesa! Non avevo dubbi sulla tua incapacità di comprendere: sei afflitto da cecità intellettuale, da dozzinale benpensantismo.
D' accordo, allora: supponiamo che tu sia in buonafede -cosa che, nel nucleo, non è quasi mai possibile-. Provo a dirlo in altri modi.
Innanzitutto, almeno, smettiamola di ritenerci speciali, superiori, toccati dagli dèi. Smettiamola di pretendere equilibri impossibili in noi, di aspirare al sublime . Prendiamo atto, con onestà, d'appartenere ad una specie subdola e bugiarda nel dna.
E lo sai perché dovremmo? Perché con la scusa del "non siam perfetti" abbiamo autorizzato e costantemente autorizziamo ogni scandalosa contraddizione in noi.

- O bella! E perché dovrebbe poi mai essere "scandalosa" una contraddizione? Trattasi di contraddizione e basta. L' hai pur detto: siamo soltanto umani.

- Allora spiegami a che serve parlarci, se comunque ciò che ci comunichiamo è solo in parte ciò che pensiamo.
A che serve palesare un pensiero se il tuo interlocutore non lo sa recepire giacché non tenta di capirlo ma si limita a tradurlo nel suo linguaggio.
A che serve dirsi 'umanisti e filantropi' se è soltanto per gli agi fisici, per il denaro, per il potere personali che ci attiviamo.
A che serve dirsi credenti in Dio ma temere la morte, la povertà, il dolore.
A che serve avere amici teorici e sentirsi disperatamente soli.
A che serve la libertà se non si sa che farsene e la sola cosa che riempia di senso le nostre giornate resta la schiavitù del lavorare o del desiderare di poterlo fare.
A che serve l' immaginazione se ogni nostra scelta reale attira come carta moschicida l'inevitabile obolo di piccole e meschine viltà del vivere.

- Giudichi. Che ne sai degli uomini? Quel che supponi. Nient' altro. Ed allora è così che tu sei, per forza.

- So quel che fanno e che io non ho fatto. Ecco: basta questo.
E se non mi credi, poco importa. Vaffanculo.


lunedì 26 marzo 2012

Ma si può essere più liberi di così? -2-

Dopo essercisi infilati con scrupolosa invasività ed averci investito la maggior parte delle proprie energie psicofisiche nonché la più sfavillante immaginazione, sulla via dell' inesorabile, dolce e perdutamente malinconico declino della propria vita (quel declino di cui a nessuno si dirà mai per una questione di vano orgoglio ed oggettiva impossibilità di consegnare il proprio cuore in qualsivoglia altrui mani), si inizia a sospettare che l' intera passata esistenza non sia stata altro che un tergiversare e che siano irrilevanti nella stessa misura acquisizioni e perdite, gioie e dolori, tentativi e rinunce, parole dette  e silenzi.

La sola, l' esclusiva ragione di personale e tacito vanto -conquista impalpabile perché immateriale, lieve soffio d' auto-perdono- sta nel sapere che mai, neppure per un istante, ci si sia sottratti al fuoco sacro del vivere, per non guadagnarci altro che la certezza -impareggiabile- d'aver partecipato, d' aver agito, d' aver nutrito istanti con velleità d' eterno senza che, nel mentre si agiva e si amava, si inquinasse quel vivere stesso nel calcolo della convenienza -che è sempre destinato alla preservazione degli agi del solo corpo-, nella triste e squallida partita  contrapposta tra mente ed anima.

Ho composto la mia piccola vita sulla suggestione di una sorta di ditirambo dionisiaco, nonostante ogni dettaglio della mia personalità debba combattere la consapevolezza di un imperturbabile Nulla di titanica forza.
Libera di amare sempre perfino anche l' amore immeritevole e sbagliato, libera di porvi fine, in scelte che il mondo intero giudica folli.
Non so dire se gli ' errori' siano imputabili ad una mia iniziale eccessiva propensione al sogno, che più di ogni altra cosa ingentilisce e ricama ogni realtà, oppure alla cieca protervia  che mi induce a supporre 'grande' ogni essere umano.
Comunque sia è sempre illusorio.
Soprattutto, è a termine. 

* 
L' uomo vuol protrarsi, durare, essere ancora, essere sempre.
Ma non sa che cosa.
Fusto privo di vera linfa.
Fusto inaridito ed avido di respiro perenne, ma senza lacrime, senza baci, ignaro di tenerezza.
Legno che si fa pietra.
Ai miei occhi la paura della morte è imperdonabile: tu la paventi, ma nel frattempo sei già morto.

Ed invece il ciliegio ha saputo finanche anticipare le sue fioriture.




venerdì 23 marzo 2012

Tipi -5-

Si dicono poeti senza conoscere la metrica ed i veri Maestri.
Chiamano poesia indiscriminatamente la descrizione dei loro pruriti, del loro mal di pancia, dei risentimenti, dell' attitudine al melmoso vittimismo, del loro infantile bisogno di affetto sdolcinato e le dozzinali rime talvolta baciate retaggi di esercizi elementari e semplicistici.
Altre volte confidano che l' entropia delle parole -spesso finanche stridenti-  stordisca il lettore sprovveduto e credulo.
La loro ignoranza esercita un arrogante potere sulla maggiore ignoranza di alcuni altri, i quali, appellandosi al loro interiore dozzinale senso del bello, se ne entusiasmano.
Non esiste stile che prescinda dalla conoscenza della tecnica. E l'espressione della propria indole, buona o cattiva, bella o brutta, non è bastevole a rendere significativo, utile o sublime un componimento: l' umanità può agevolmente fare a meno di chi auto-proclama la propria individualità e le proprie insignificanti peripezie emozionali interessanti e li sottopone al pubblico senza pudore: son bisbiglii da salottino privato.
Né basta soffrire di patologie nervose.
Nè essere vittime di dipendenze.
Nè peccare d' egocentrismo.
Per dirsi poeti ci vuole anche un afflato d' altruismo, in sé, un amore non meschino; s' ha da voler dare qualcosa di buono al mondo e conoscere la grammatica.
  

martedì 20 marzo 2012

Ma si può essere più liberi di così? -1-

"Io sono per sempre condannato ad esistere al di là della mia essenza, al di là del moventi e del motivi della mia azione, sono condannato ad essere libero. E ciò significa che non è possibile trovare alla libertà altri limiti oltre se stessa, o, se si preferisce, che non siamo liberi di cessare di essere liberi." * (J. P. Sartre, L'essere e il nulla  * mia la variazione del colore del testo )

"La conseguenza fondamentale che deriva... è questa: essendo l'uomo condannato ad esser libero, egli porta sulle sue spalle il peso del mondo intero, l'uomo è responsabile del mondo e di se stesso quanto al modo di essere. Usiamo qui il termine "responsabilità" nel suo significato corrente di "coscienza (d')esser l'autore incontestabile di un evento o d'un oggetto". In questo senso la responsabilità del per-sé è opprimente; egli è infatti colui per cui accade che "ci sia" un mondo. E poiché è anche colui che "fa essere se stesso", qualunque sia la situazione in cui il per-sé si trovi deve assumere totalmente questa situazione col suo coefficiente di avversità. Questa responsabilità assoluta non è però accettazione; è la semplice rivendicazione logica delle implicanze della nostra libertà."
(J. P. Sartre, L'essere e il nulla)


Noi siamo liberi sempre, che ci piaccia saperlo o meno, che ci provochi o meno angoscia ammetterlo.
Lo siamo nelle grandi e nelle piccole questioni e totalmente.
E' altrettanto vero che trattasi di libertà "condizionate", ma in nessun caso può esistere la libertà assoluta in un sistema composto di più di un elemento umano o naturale: quel che un altro desidera e persegue potrebbe sempre essere esattamente il contrario di ciò che invece voglio io.
Lo scoppio di una guerra in cui fosse coinvolto il mio Paese non è conseguenza di un mio atto di volontà e non deriva dal mio esercizio di libertà, ma, nella situazione di guerra, io soldato non consenziente posso disertare.
Se mi coglie una malattia, non posso certo o sempre dire di averla scelta, ma posso decidere sul come affrontarla, ad esempio rifiutando una tal cura.

Potrei continuare all' infinito: non esiste un solo esempio che sfugga alla 'condanna' della libertà umana, e questo può dirsi perfino a proposito delle più estreme occasioni.

Da ciò ne deriva un mio certo integralismo di giudizi rispetto ad un' enorme quantità di azioni che indirettamente o direttamente mi riguardano e di cui sono oggetto.

M' è accaduto d' essere raggirata da un tizio che mi ha chiesto di 'sponsorizzare'  una squadra locale di calcio di ragazzini. Io il gioco del calcio lo detesto -letteralmente-, ma l' accordo consisteva nell' impegno da parte sua di far figurare il logo della mia piccola attività neonata artigiana sui manifesti  quindicinali che -a dir suo- sarebbero stati affissi in occasione delle partite in casa. A riprova dell' impegno il tizio entro un paio di giorni mi consegnò la prima delle promesse locandine.  Che è rimasta anche la sola ed ultima.
Singolarmente, egli abita proprio a due passi dal luogo in cui esercito la mia attività: ci si incrociava, di tanto in tanto, ed alle prime due occasioni egli mi rassicurò dell' imminente stampa dei manifesti.
In realtà non li fece mai: semplicemente mi aveva estorto una somma (regolarmente fatturata) per il finanziamento a perdere dell' Associazione calcistica di cui si occupa.
Liberissimo di avermi ingannata.
Liberissimo, ora (ma in libertà condizionata), di percorrere il marciapiede opposto a quel che dovrebbe e che era solito calpestare, pur d' evitare l' imbarazzo d' imbattersi faccia a faccia in me, che -molto liberamente- ho maturato un preciso giudizio su di lui

Siamo talmente liberi da agire in modo tale da limitarci la nostra stessa libertà.

In amore lo facciamo puntualmente.

Ecco: questo sì è argomento gustoso.
Nel prossimo post, a primavera.



sabato 17 marzo 2012

Afonia

Di difetti ne ho a migliaia - premetto-, e non me ne perdono neppure uno dei più lievi: sono certa d' essere la persona più imperfetta della Terra, soprattutto perché ho sempre coltivato, in me, senza quasi rendermene conto,  velleità e speranze comunicative altissime. Ho sempre pensato -intendo dire-  che la comunicazione sia il vero nettare dell' esistenza, l' attività più sensata ed intelligente in cui intrattenersi, e che quando condotta ad un certo livello possa attivamente aiutare a superare anche il più infernale dei drammi personali.

Qualche volta, in me, c' è anche il silenzio. Un silenzio fatto di parole stremate. E' un silenzio che vorrebbe parlare. Epperò non può. Ciononostante sta dicendo.
Vorrebbe dire, in spontanea coerenza argomentativa, di malinconia, di ansia sentimentale sempre tradita, di tenero sogno d' amicizia, di legittima pretesa di sogno vivificante. Sogno di levità non banale, bisogno di evaporazione degli scrupoli granitici e così convenzionalmente umani che è quanto di meglio noi in genere si sappia condividere.

Ma mi coglie il dubbio su come fare a dirlo, perché sia limpido, ed allora taccio.

*

Ad intervalli più o meno ampi, fin da bambina, la mia mente ha sempre rispettato un appuntamento tacito ma certo con sé stessa.
Si chiedeva: "Ma perché sei così? Perché sei tu e non un' altra? Perché ti vedo quasi come un' attrice, talvolta tragica, tal' altra comica, di un canovaccio che non hai scritto tu? Cosa e chi e perché hanno determinato questa tua stessa consapevolezza d' essere? E come si sentono le menti degli altri? Come te? Si sentono come te e si pongono queste stesse domande?"
Per qualche imperscrutabile ragione la mia mente non poteva, in alcun modo, interrogarne altre in questi termini.

*

Buonanotte alle anime perplesse.

lunedì 12 marzo 2012

Credo qualsiasi

Siamo d' accordo, vero, sul fatto che agli umani non basta esistere e conoscere il percome ed il percosa ciò succeda, ma pare altresì improrogabile sapere se la capacità di sapersi e pensarsi viventi -che li induce a supporre e cercarne   motivazioni diverse dalla semplice replica della vita- abbia una qualche funzione e senso e ragione, e, giacché questi non si conoscono,  si può credere qualsiasi cosa?

Qualsiasi.

Da un punto di vista spassionatamente scientifico conosciamo qualche risposta su materia, fisica, energia.
Dio è un' ipotesi di cui la scienza può agevolmente fare a meno, del resto.

Conosciamo anche molti racconti e narrazioni.
Abbiamo una certa memoria storica.
Se pure al mondo non esistessero atrocità, se pure fossero debellate tutte le malattie e la povertà, se pure vivessimo in un sistema perfetto di equità sociale, non saremmo, ancora, in pace.
Se anche miracolosamente si smettesse di  avere la consapevolezza costante ed ossessiva della morte, beh, non basterebbe ancora a darci pace. 

Ma il perché esistano in più il pensiero che pensa sé stesso, la commozione, l' amore, la malinconia, l' odio, l' altruismo, l' estasi contemplativa, il rapimento della musica, la ricerca del bello e del sublime, spesso l' insofferenza per i propri stessi vincoli corporali, l' ebbrezza della solidarietà umana, l' orrore per il male patito da altri, non lo sappiamo con certezza, nessuno può dirlo.
Perché non bastino il piacere dei sensi, la sanità del corpo, non lo sappiamo, oppure io ancora non lo so.
Molto semplicemente, il nostro pensiero ha bisogno di un riferimento, di un punto qualunque di partenza per percorrere una strada, la nostra strada, senza lasciarne aperte troppe innanzi, pena la sua misera frammentazione in troppi laceranti dubbi e scrupoli, pena lo smarrimento angoscioso nel vortice delle mille risposte possibili.
Ciò è umano. Lo è nel senso di estremamente limitato, parziale e sempre insufficiente a sedare un bisogno primario, innato, specifico di verità.
E' limitato, parziale ed insufficiente proprio perché umano.
E' un bisogno primario di verità proprio perché umano.
Noi non abbiamo solo contraddizioni: noi siamo contraddizione dolorosa e perenne. (*)
Ne deriva che addivenire a credere che corrisponda alla sola vera integrità possibile non credere in tutta onestà a nulla sia l' atto di fede più onesto in assoluto, nonché il più eroico (data l' immane sofferenza che tale ammissione procura nel mentre si precipita in tale vortice di vertiginosa assenza di appigli).

Credo che la bassa levatura dei rapporti umani, ormai, in genere -perché è a livello infimo che si sono ridotti, o sono sempre stati, no? Perché è pur vero che ogni rapporto, magari potenzialmente promettente, ci lascia comunque la sensazione di non venire mai davvero sviluppato, per ignavia, per noia, per pigrizia, per paura...-  sia dovuta alla nostra vigliaccheria ad ammettere la nostra totale ignoranza dell' altro -più propriamente sostanziale incapacità di comprendere l' altro-, alla nostra mancanza di umiltà nel confessarci che ciò in cui diciamo di credere è solo il pretesto per non impazzire.

Non discuto la necessità di credere in qualcosa: la capisco, ed è pure la mia spina, ma ne intuisco l' immane ed un po' ripugnante ipocrisia sottesa, e ne ricavo la solita malinconia.
Io, magari, che non faccio testo, riesco a resistere senza dèi, ma mi è possibile perché sono io ed inganno il mio tempo sostenendo con ogni mia energia il totale sfasamento tra l' essere me, sospesa nel nulla, ed i  mille motivi -per me astrusi- che gli altri scelgono a basamento delle loro vite: mi ci concentro, mi ci sono specializzata. Ne faccio una questione d' onore, una sorta di sfida: la mia grande muraglia di dubbio è la cintura di castità dell' intelletto.


(* deriva da ciò la mia grande ammirazione per i cani?) 


 

venerdì 9 marzo 2012

Nove marzo: spaccato di vita di una donna di tutti i giorni.

Si illudeva di poterla tenere a sé adottando i più bassi espedienti, stupidamente convinto che a lei non fossero noti.
Riteneva che a ciò lo autorizzasse l' amore che provava per lei.
Era questo un errore madornale e di indicibile gravità.
Agli occhi di lei imperdonabile e senza appello, uno dei tanti frutti marcescenti del maschilismo serpeggiante che si maschera di sentimento: il peggiore, quindi, perché sostenuto dall' ipocrisia e dalla malafede.
Lui aveva organizzato un sistema accurato e scientifico  per controllare ogni suo spazio privato, per invadere ogni sua legittima personale bolla di libertà e limitare la sua esigenza espressiva: s' intrufolava nei suoi account internet, seguendo in tempo reale le sue conversazioni con i suoi contatti, pretendeva di regolamentare le sue amicizie e le conoscenze,  si appostava come un detective agli angoli delle vie per spiare i suoi movimenti.
Lei, una volta resasi conto che sì, quella era davvero una cosa che può succedere, pur se nella sua coscienza e ai suoi occhi inverosimile, anzi -peggio- abominevole, provò un senso tale di ripugnanza da comprendere che nulla avrebbe potuto mai più cancellare il disgusto. Lui trovava invece la cosa comprensibile, legittima, poco meno di normale.
Era un uomo fragile e disperato, che aveva avuto l' ardire di approffittare di una serie di situazioni oggettive e dolorose attinenti alla storia di lei, per tentare di fidelizzare la sua anima, ma in totale dispregio della sua assoluta libertà.

Lei si chiedeva spesso se ci fosse differenza tra la violenza fisica e quella morale -soprattutto quando supportata da un oggettiva impossibilità di reazione e scelta, magari pure per motivi di indigenza economica-  e non poteva che concludere che erano entrambe ugualmente odiose ed inaccettabili.

Esistono molte sfumature di schiavitù.
Tutte hanno in comune la soggiacenza agli imperativi del denaro.
La donna, nella logica infame del Capitale ed in forza della più grande ingiustizia universale che si sia mai concepita e perpetrata dall' umanità, è pertanto spesso schiava di uno schiavo.

Come qualsiasi altra forma di debolezza e pochezza il maschilismo ricorre da secoli al sopruso.
Il sopruso è più facilmente esercitabile su chi versa in istato di debolezza materiale o psicologica.
In qualsiasi società, da sempre, il forte detiene ed esercita il potere attraverso  il possesso dei mezzi ed il denaro. A sua volta,  egli sarà schiavizzato e patirà altra sfumatura di soprusi da un altro schiavo di siffatta logica, ma a lui superiore.

E via così, fino al grande Maiale volante...

 

lunedì 5 marzo 2012

... lei è già sulla tua onda...

Non c'é nulla, nella mia vita, che io non abbia fatto, non faccia e non farò con il cuore.
Provo somma compassione per coloro che mi reputano, per questo, triste, e si illudono che la felicità sia possibile in qualche atto, in qualche scelta, in qualche luogo.
No davvero: molto crudemente si deve sapere che essa non è possibile mai per un umano e che può più spesso accadere che egli la deleghi ad un utopia ultraterrena o ad un illusorio senso di appartenenza  ad una categoria, un consorzio, uno status.
E' questa la ragione per cui, piuttosto, trasuda da questa galassia la malinconia, che è cosa diversa - e ben lontana- dalla temporanea tristezza.

L' individuo che vive con il cuore pulsante in mano non può conoscere né pace né temporaneo sollievo: cerca incessantemente un luogo ove poggiarlo o per un po' riporlo, ma non potrà che puntualmente ritirarlo e riprenderlo su quel suo palmo continuando il cammino.
Non che il cammino rappresenti un qualche intrinseco senso: fatalmente, piuttosto, egli non può fare altro che andare, pur non sapendo dove né alla ricerca di che cosa.
Tutto ciò che non riguarda l' umanità è anche quanto lo salva: gli animali, il dolce sonno della notte pieno di voli pindarici, il sole, la terra, l' acqua. Dai suoi fratelli umani riceve sempre colpi ferini ed imperdonabili, che lo colmano di disgusto, ma se n' è fatto, ormai, una ragione.
Grazie all' altrove.

Posso, di tanto in tanto, rifugiarmi in una fiaba...

"Suzanne" di Leonard Cohen

Nel suo posto in riva al fiume
Suzanne ti ha voluto accanto,
e ora ascolti andar le barche
e ora puoi dormirle al fianco,
si lo sai che lei è pazza
ma per questo sei con lei.
E ti offre il tè e le arance
che ha portato dalla Cina
e proprio mentre stai per dirle
che non hai amore da offrirle,
lei è già sulla tua onda
e fa che il fiume ti risponda
che da sempre siete amanti.
E tu vuoi viaggiarle insieme
vuoi viaggiarle insieme ciecamente,
perché sai che le hai toccato il corpo,
il suo corpo perfetto con la mente.
E Gesù fu marinaio
finché camminò sull'acqua,
e restò per molto tempo
a guardare solitario
dalla sua torre di legno,
e poi quando fu sicuro
che soltanto agli annegati
fosse dato di vederlo,
disse: "Siate marinai
finché il mare vi libererà".
E lui stesso fu spezzato,
ma più umano, abbandonato,
nella nostra mente lui non naufragò.
E tu vuoi viaggiargli insieme
vuoi viaggiargli insieme ciecamente,
forse avrai fiducia in lui
perché ti ha toccato il corpo con la mente.
E Suzanne ti dà la mano,
ti accompagna lungo il fiume,
porta addosso stracci e piume,
presi in qualche dormitorio,
il sole scende come miele
su di lei donna del porto
che ti indica i colori
fra la spazzatura e i fiori,
scopri eroi fra le alghe marce
e bambini nel mattino,
che si sporgono all'amore
e così faranno sempre;
e Suzanne regge lo specchio.
E tu vuoi viaggiarle insieme
vuoi viaggiarle insieme ciecamente,
perché sai che ti ha toccato il corpo,
il tuo corpo perfetto con la mente.


(tradotta  da Fabrizio De Andre')




... per trovare l' equilibrio tra la carne e la mente e costruire il triangolo perfetto dove porre, finalmente, questo  esausto cuore di donna folle ed amara. 

Chi parla con disprezzo delle parole intimiste e cerca leggi e codici del vivere per consolarsi della malinconia che prima o poi lo coglie di sorpresa ma egli persiste a negare a sé stesso ed agli altri, è certo più di me inguaribilmente malato nell' anima e folle.

Lo so, lo so che deleghi ad una poesia d' altri tutto lo struggimento che non hai avuto il coraggio di sostenere in te, e che la notte quel che è rimasto di quel tuo cuore tradito e disperso ti duole.
Ma te la meriti questa tua pungente sensazione di pochezza e viltà: te la sei guadagnata. Trattienila più che puoi perché è ricchezza e perché presto svanirà: le indoli come la tua dimenticano e macinano in fretta  le esperienze del cuore e non conservano che sterile polvere. .

venerdì 2 marzo 2012

Decadenza

Il corpo rivela a noi stessi l' essenza della nostra mente e ci impone di prendere atto della nostra più profonda verità.
Ecco che, ora, il modo in cui -ad esempio- mi sento, i disagi o i fastidi fisici che avverto, hanno un' infinità di altri e più ampi significati metafisici e determinano ed influenzano la mia coscienza d' essere. Questo persistente dolore alla schiena è il mio rifiuto della forza di gravità che mi inchioda alla terra e mi costringe a vivere e rivivere come in un incubo eterno le mortificanti esperienze terresti con i miei simili.
Mi chiedo se avrà mai fine, in vita, la sottile nausea che mi pervade a dover parlare, incontrare, rapportarmi con chi so già in anticipo che mi tributerà quel noto senso di delusione e pochezza, quella frustrante constatazione di una sempre maggiore predisposizione autistica nei sentimenti, assenza d' empatia, smagliante egoismo, squallido egocentrismo ed utilitarismo.
E se il corpo non mi reggerà a dovere, io non potrò fuggire via da quest' ingorgo di bassezza e spazzatura, giacché quest' anima è suo ostaggio e preda e senza di lui non può andare.
Ma più di ogni altro sogno essa amerebbe correre in eterno verso un qualsiasi orizzonte imprendibile e sola, con il suo amico cane,  al fine di non conoscere mai più il disgusto che sanno dare gli uomini.

E' un corpo-bastione, che tiene sotto chiave un' anima irrequieta ed amara, affilata e tagliente come lama, dalla fantasia sconfinata, che sa ciò che non vorrebbe sapere, né più ricordare.
Qual è il modo meno drammatico per sopravvivere?  E ce n' è davvero almeno uno?

Ma poi, se la sola uscita dal tunnel del dolore fosse nell' auto soppressione, perché sentire tanta tristezza, perché tanto piangerne? Che cosa ancora non ho compreso? E lo saprò mai?

Corpo muto, che vuole abbandonare le parole, così sole e mal corrisposte, così incomprese e fraintese, così autoreferenziali perché senza possibile sbocco, prive di un porto accogliente e soleggiato, sopra un mare placido e lucido come olio, dopo averle così appassionatamente e vanamente amate.

I bambini si suicidano, come se sapessero ciò che gli adulti hanno dimenticato, come se la morte fosse bellezza, dolce dono da scartare con eccitata meraviglia. Loro, tanto più vicini alla verità della vita, perché non ancora completamente corrotti.
E li vedo  radunati sulle "spiagge dei mondi senza fine" rotolarsi sulla sabbia e ridere a squarciagola, con voci di cristallo...