sabato 31 dicembre 2011

Pagheremo caro, pagheremo tutto

Tutto: aumenterà tutto.

Siam pronti per precipitare a testa bassa verso la malora?
Pronti a scrutarci di sottecchi, con l' amara crudeltà che lo spettro della miseria sa instillare e fecondare, per tirare un respiro di sollievo, in una sequenzialità sempre più ravvicinata e singhiozzante, ogni volta che coloro che scivolano nel baratro dell' indigenza non siamo, -oh, non ancora, non per questa volta, almeno... - per adesso, noi?
Ogni utenza sarà più cara, gli stipendiucci dei soliti noti più che mai miserabili. Smorziamo le luci, razioniamo il riscaldamento delle nostre (e delle loro -dato che io e qualche altro non possiediamo alcun immobile, per quanto sembri fatto stravagante-) case; siamo in recessione, badate: la sola ricchezza in aumento si misurerà in risentimento.

Ma quale "Pagherete caro, pagherete tutto", eco di un passato di emozioni di piazza ormai irrimediabilmente sbiadite...: è evidente che abbiamo clamorosamente perso.

Pagheremo caro, noi che abbiamo assecondato la nostra stessa  inconsapevole malafede, pagheremo tutto, compresa questa  nostra stessa  innocenza obnubilata di qualunquismo.

Dall' abbaino della rocca, sede del mio amore malinconico per voi e per me, buon anno.

mercoledì 28 dicembre 2011

Questo nostro leggerci

" Nella lettura c' è un mistero, un mistero la cui contemplazione può probabilmente aiutare non a spiegare, ma a cogliere altri misteri nella vita degli uomini"  (*)

Il mondo ha milioni di significati, e poi ancora di più, tanti quanti sono i segni suscettibili di emozioni personali: si tratta di un valore enorme, forse pure, in potenza, infinito.
Senza il nesso che ciascuno di noi attribuisce ad un qualunque segno attraverso la sua propria sensibilità, esso resterebbe neutro in termini di significato.

*
Tra le  mie esperienze di viandante, accadde che una notte d' inverno mi inerpicassi su di una ripida mulattiera di montagna che conduce ad un' antica chiesetta isolata tra boschi d'abeti e faggi ( I fàgher).
Ai lati della stradina cumuli di neve, le forme scure e gigantesche degli alberi, a tratti antropomorfe, un' aria deliziosamente pungente, un' indefinibile precognizione di luce (algida luce cristallina intuita), pur nel nero della cappa sovrastante.
D' improvviso, un bagliore, come lama lattiginosa, ma tagliente: il sorgere della luna. Fu una meraviglia di molti minuti protratta, un piacere di sensi che non evapora immantinente in fuggevole ricordo e rimpianto.
Poi, sempre più inesorabile, travolgente, fatale, l' aurora di luna esplose e mi tolse il fiato, come in un parto.
Un parto di ordinaria bellezza universale.
E mi sentii consacrata bellissima, in una sensazione di connessione perfetta tra il mio dentro, il mio fuori, ed il mio altrove. Avrei potuto fare, in quell' istante, qualsiasi cosa, come un' apostola del Tutto, perché ero Tutto: amare un altro corpo, parlare una lingua non mia, rimanere immobile o correre come un levriero di savana, oppure, senza il minimo turbamento, morire.
*



La luna era, semplicemente sorta, come sa fare da quando esiste: non viene dalla sua massa e dai suoi crateri tanta misteriosa potenza.
Ma l' anima ha sempre improrogabile desiderio d' espansione -e poi di comunione al di fuori del suo corpo- e lo strumento ideale dell' evasione è l' interpretazione dei segni attraverso la propria originale, irripetibile ed unica  sensibilità.
Solo, ciascuna delle sensazioni di cui si è capaci, può essere perfezionata, affinata, ulteriormente sviluppata, fino a rendere sempre più possibile, sempre più vicina, la comprensione di ogni cosa.

"In un certo senso non ci sono date che sensazioni; in un certo senso noi non possiamo mai, in nessun caso, pensare altro che sensazioni. Ma in un certo senso non possiamo mai pensare le sensazioni. Attraverso esse pensiamo solo qualche cosa. Attraverso esse noi leggiamo. Che cosa leggiamo? Non qualsiasi cosa, a nostro piacimento. Neppure qualcosa che non dipenda in alcun modo da noi." (*)

Innumerevoli volte mi sono lasciata sedurre intellettualmente o sentimentalmente da qualcuno, da qualcosa. Quasi sempre quella fascinazione originaria è stata poi smentita dalla successiva scoperta di altri, sottesi, più nascosti, elementi.
E' un evento banale, intimamente serpeggiante, di potente contraddizione ed estensibile a qualsiasi atto umano, nella sfera privata e perfino in quella pubblica e politica. (Pensare all' avventura berlusconiana -ad esempio-  dimostra che la vera abilità del suo fondatore è stata quella di modificare il modo in cui i suoi numerosi elettori leggevano i segni della sua pacchiana comunicazione.)

Ciò che ha il potere di modificare la nostra sensibilità, allora, è lo strumento (per il grande comunicatore il mezzo di diffusione, per l' interlocutore semplice la parola scritta od espressa oralmente ed il gesto, ) e per usare lo strumento in modo corretto, ed evitare che svii la nostra lettura, ci vuole una grande ed estenuante pratica, fatalmente sempre  dolorosa.

"Per il marinaio, per il capitano sperimentato la cui nave è diventata in  certo senso il prolungamento del suo corpo, la nave è uno strumento per leggere la tempesta, ed egli la legge in modo del tutto diverso dal passeggero. Laddove il passeggero legge caos, pericoli senza limite, paura, il capitano legge necessità, pericoli limitati, risorse per sfuggirvi, un obbligo di coraggio e di onore.
L' azione su sé stessi, l' azione sugli altri, consiste nel trasformare i significati." (*)

Quanto sappiamo noi leggerci, amici blogger?


(*) Simone Weil, Quaderni, Volume Quarto, Appendice

lunedì 26 dicembre 2011

Amori da morire -3-

Alla fine decise di arrendersi, definitivamente, alla sua più intima verità, per quanto imperfetta.

Non esisteva un solo modo per sfuggire a sé stessa, né tantomeno agli scherzi della casualità: non rimaneva, quindi, che tenersi pronta a parare gli eventuali colpi della sorte e il fuoco incrociato delle contraddizioni proprie ed altrui attrezzandosi bene con ideale cotta al titanio sull' anima. Come arma offensiva, invece, la punta di diamante di una schiettezza un po' robotica e talvolta incresciosa.
Ciò almeno nelle intenzioni.

Le arrivarono, sparse e più avanti, qualche voce, alcune cartoline illustrate, una lettera.
Lei, intanto,  lo aveva ribattezzato "Verme", anche se lui non lo seppe mai. .
Le dissero che dopo che lei l' ebbe lasciato, lui fuse  e si riprese -per poi rifondere, e riprendersi- v arie volte, cercò la di lei amica per evocare a parole la presenza perduta,  divenne amico del suo stesso rivale e convennero entrambi d' essere stati vittime di una schiacciasassi dalle sembianze muliebri.
Le spedì cartoline dai luoghi dei suoi viaggi (affrontati con l' energia di cui sempre necessitano gli spostamenti oltre oceano e di cui solitamente i morti non dispongono ) e quando a lei arrivò quella da New Orleans con jazzisti neri ed atmosfera anni venti, comprese finalmente d' essere innocente, di non aver ucciso mai in nessuno la voglia di sopravvivere, e di essere forse la sola persona al mondo capace d' amare in modo passionalmente romantico, ogni volta sempre con carattere definitivo, ultimativo, potenzialmente eterno perché marchiato in una memoria di abbacinante purezza ed illimitatamente capace.
Ma era pur sempre un amore-idea, da lei forgiato ciascuna volta ed a prescindere dall' oggetto, nella rovente fucina del suo cuore, e non c' era  stata ancora anima che potesse meritarlo.
Illusione, sempiterna. Impossibile eliminarla e restare umani, impossibile.


Nella lettera, mesta ed inconcludente, lui le confessò di non aver mai più fatto l' amore senza di lei, e la sola cosa che a lei ne derivò fu la nauseante sensazione di leggere l' ennesimo vile tentativo di ottenere ciò che implicherebbe grandezza e nobiltà d' animo con vili espedienti disimpegnati di sapore vittimistico.

"Preferisco mille volte schietti incontri di sensi ed il volo onirico di una notte con chi non mi dichiara nulla, alla gelatinosa altalena di pietà e disprezzo che la tua umana pochezza, attraverso la colpevole velleità d' amore con cui non smetti di avvicinarmi, ormai mi ispira" lei pensò. 

Allo scadere del secondo settennio, quando il caso volle e li fece reincontrare, lei lo trovò l' individuo più insignificante della Terra. Lui le scodinzolava intorno, ma lei rimase impassibile ed indifferente.
" Ho sentito che tuo padre non stava bene. Mi dispiace tanto. Quasi non riesco a chiederlo... Dimmi, è... è... morto?" chiese lui con la faccia compunta e lo sguardo nella sua scollatura.
"Che t' importa, omino" lei fu tentata di dirgli. Ed invece rispose, con la voce rotta, vincendo un' ondata di sofferenza ed odio intollerabili: "No. Non ancora. Non ti crucciare."
Dopo meno di un' ora lasciò il locale e gli altri amici ed andò senza salutare.
Guidando verso casa pensava a che cosa mai potesse servire, nel disegno cosmico cui a lei, per celia, piaceva credere, l'increscioso ripetersi di questo incidente periodico.

Sette anni dopo la responsabilità, tutta intera, fu della sua unica amica. "Ti prego accompagnami: ci tengo davvero tanto a veder questo film. Non voglio andar al cinema da sola di notte. Dài, scollati dalla tua grotta, andiamo insieme."



"E va bene. Ti accompagno. Passo a prenderti io, bada d' essere già sulla strada, ché non si può assolutamente sostare, sotto da te, lo sai bene"

"Accidenti, guarda chi c'è. Non posso crederci."
"No! Il Verme. Ancora. Vado via."
"Niente da fare. Ci ha viste."



(continua, forse.)

sabato 24 dicembre 2011

A Natale salva un àstice

" Dove Sile e Cagnan s' accompagna"
(Dante Alighieri, Divina Commedia (Paradiso, IX, v.49)

Lì, accidenti, lì: andrò a gettarlo lì.
Gli renderò la libertà, con il capo cosparso di cenere, per il mio cattivo impulso primigenio di giustiziarlo nel court bouillon fumante ed aromatico...
(...mmm, la fragranza seducente del prosecco d' annata, le verdurine dai graziosi color pastello e solari, l' esotico pepe macinato fresco, che stuzzica i sensi, la promessa del gusto, l' abbozzo del sogno edonistico della pietanza impiattata, colore, sapore, profumo...)
  
"Creaturina dell' Iddio Delle Acque, perdonami per lo spavento che t' ho inflitto, prelevandoti dal banco del pescivendolo con impressa in faccia tutta la mia voracità d' umana, ma se il tuo attaccamento alla vita è sì tenace da conservarti vivo dopo ore di frigorifero fuor del tuo elemento, beh, allora voglio fare ammenda."
Ti adotterò a distanza. Ti lascerò vivere, adagiandoti nella tua grande casa, tra i flutti.
Non nel Sile -ora che ci penso, e grazie al Cielo me ne avvedo-: tu sei vivente d' acqua salata. Ti restituirò alla romantica Laguna.
Vado, velocemente, prima che sia troppo tardi.
Su, vieni. Ti porto a rinascere. Orsù, andiamo, fratello crostaceo.

E grazie, mio buon Astice,
grazie per avermi illuminata,
una buona volta,
alfine (!)

sull' occulto significato del Natale.

mercoledì 21 dicembre 2011

Meità.

Ho da tempo imparato a non aspettarmi alcuna solidità e permanenza  di pensiero né vera affidabilità dai colleghi umani.
(Ciò è molto, molto triste -per me-, ma non si tratta di una critica: noi tutti -è evidente- abbiamo una seria difficoltà ad essere, data questa fatale e strutturale condanna a pensarci nel mentre pensiamo d' esistere. Ma focalizzare il momento esatto in cui stiamo esistendo non ci riesce -è evidente-, giacchè quel momento, nel mentre tentiamo di metterlo a fuoco, è bell' e andato.)
Inoltre è così anche a causa dell' alta posizione conquistata sulla scala evolutiva, che ci ha resi nel contempo sì tanto potenti e velleitari senza peraltro cancellare anche fragilità, aleatorietà ed umoralità, lasciandoci in grosso e spesso irrisolto conflitto tra la nostra dotazione razionale e la nostra necessità immaginifica.
Se ci sono tipi a me totalmente invisi, d' altro canto, sono i puramente logici, i logici a tutti i costi ed in ogni situazione. Essi sono, indifferentemente, sub od iper umani, in diverse sfumature magari, e spesso molto ben camuffati da fautori del buon senso.
Imperturbabili, freddi come ghiaccio, duri come marmo: praticamente morti dentro.

*
Davvero, se solo sapeste quanto vi amo, invece, umani immersi in un improbabile altrove, risucchiati in un vortice di sentimenti contrastanti alla ricerca dell' impossibile equilibrio tra idee, sogni ed azione, eternamente tentati dalla soddisfazione dell' ego ed in colpa per la bassezza di quel desiderio pur veniale, proiettati in una visione cosmica delle cose e rinserrati in una stanzuccia con finestrella sbarrata... simili e fratelli, potenziali amici, numero esiguo ed in inesorabile estinzione, disperati pur in grado di sorridere...
Ma che farsene, di questo lato amore, se i suoni delle parole che avremmo da dirci, vis a vis, si ingarbugliano in gola e si fanno groppo, e non c' è modo di farle uscire, ed in loro vece lasciamo dire qualche timido ed impacciato gesto, qualche impercettibile guizzo di muscolo facciale ...  

*

Su tutto, c' è il problema temporale. La spina del tempo, rispetto al quale non si riesce  a rapportarsi, e che è punto essenziale, giacché nessun cruccio esistenziale umano trova sviluppo e soluzione se non si può, in qualche modo, inquadrarlo temporalmente.

Gli è che:
"Ogni coscienza è coscienza 'di' qualche cosa." (Husserl) (*)

Si pensa, in genere, di aver coscienza d' essere stati almeno nel proprio passato: cioè di ciò che è certamente verificato. Si ritiene di sapere, ad esempio, chi era, in quel dato momento trascorso, una data persona, magari proprio noi stessi. Non raramente, il passato, letteralmente, tallona l' individuo nel suo stesso presente. Ma poi sovviene il ragionevole dubbio che non sia così.
Perché è pur anche vero che:

"Se la concezione di Cartesio e quella di Bergson devono essere parimenti rifiutate, è perché cadono tutte e due nel medesimo vizio.

[Bergson: un avvenimento del passato non cessa di esistere, ma 'sta', rimane al suo posto, in quella data, per l' eternità, attraverso il ricordo interpenetra il presente, perché la durata è molteplicità; Cartesio: il passato non è più, si annulla,  e tutto è soltanto presente. n.d. r.]

Annullando il passato o conservandogli l' esistenza di un dio lare, questi autori hanno considerato 'a parte' la sua sorte; isolandolo dal presente; e quale che fosse la loro concezione della coscienza, le hanno attribuito l' esistenza dell' in-sé, l' hanno considerata come ciò che è. Non vi è quindi ragione di meravigliarsi del fatto che non siano riusciti a ricollegare il passato al presente perché il presente così concepito respingerà il passato con tutte le forze. Se avessero considerato il fenomeno temporale nella sua totalità, avrebbero visto che il 'mio' passato è anzitutto mio, cioè esiste in funzione di un certo essere che io 'sono'. Il passato non è il 'niente', non è neppure il presente, ma deriva dalla stessa fonte, essendo legato ad un certo presente ed a un certo futuro. Questa 'meità' di cui parla Claperède, non è una sfumatura soggettiva che venga a infrangere il ricordo: è un rapporto ontologico che unisce il passato al presente. Il mio passato non appare mai nell' isolamento del suo 'essere passato', sarebbe perfino assurdo pensare che potesse 'esistere' come tale: è originariamente passato 'di questo' presente. " (*)
 
 
Il mio passato mi cammina a fianco perché non è qualcosa che ho, ma che sono.
E' la ragione -scopro- per cui non solo non dimentico nulla e più precisamente nessuno, ma anche per cui pretendo analoga consapevolezza negli altri che a me si rapportano.
Ciò che fai, ciò che sei, ciò che mi dici, ciò che di me vuoi o vorrai (e, specularmente, vale per me) ha così carattere permanente, di eterna valenza, a prescindere dagli sviluppi degli eventi e delle scelte materiali.
Com' è corroborante capirlo. Pur se il senso sarà compiuto con la morte.
 
 
" E' una massima riconosciuta da lungo tempo fra gli uomini, che non ci si può pronunciare sulla vita dei mortali e dire se essa è stata felice o infelice, prima della loro morte." (Sofocle) (*)
"La morte trasforma la vita in destino" (Malraux) (*)


 


Con affetto, ai miei preziosi elettivi lettori.
Buona sempiterna rinascita.


(* Jean Paul Sartre, L' essere e il nulla)

venerdì 16 dicembre 2011

Nel bacareto

Qualcuno, che non sia veneziano, ce l' ha presente un 'bacaro'?

Di etimologia incerta, forse ispirata alla figura mitologica di Bacco ( ed allora siam nel terreno dionisiaco), il termine bàcaro (lo scrivo accentato per facilitarne la pronuncia), oltre ad indicare un locale aperto al pubblico -una via di mezzo tra l' antica mescita di vino e l'osteria di porto, dall' arredamento spesso rustico, povero e solido ed un aleggiante mescolìo di  odori singolare: di polpette, uova sode, insaccati, trippe e nervetti lessati, ma anche seppioline grigliate aglio e prezzemolo, lumachine di mare, crostini al baccalà ed altre amenità, dove lo spritz altro non è che acqua minerale e pessimo vino bianco di bottiglione e un' ombreta de rosso, a detta del mio amico eno-gastronomo Bombo, raramente avrebbe superato un esame di qualità di pur modesto livello-, indica  soprattutto uno stile di vita. Così, almeno, ai primordi. Molti bacari di oggi, nella Venezia dissacrata dal turismo becero da cui non c' è città d' Arte che possa dirsi libera, sono altra cosa: posti irrimediabilmente radical-chic e senza autentica anima.

"Andar per bacari" significava, per noi ragazzi nati nei primi anni anni 60 allora poco più che adolescenti e studenti, contemporaneamente aggregarci, incontrarci, divertirci, fare politica, innamorarci, sognare in gruppo. 
Era in uno di questi posti che ci riunivamo per prepararci gli interventi per le assemblee, organizzare le autogestioni e le partecipazioni alle grandi manifestazioni di piazza, nonché programmare uscite ricreative, ludiche, ed altre occasioni per stare insieme. Quanto ci amavamo!

E' perché c' era il futuro, quasi certamente, per un concorso di ragioni: avevamo diciott' anni, innanzitutto, ed eravamo praticamente certi di cambiare il mondo.

Per ciò che mi atteneva e mi attiene, quello era l' amare cosmico, alleggerito da qualsiasi implicazione morbosa e svincolato dalla morsa del tempo.
Ciò è tanto più vero, quanto più ne risulta permanente la memoria, giacché, nel mentre, si sono srotolati trent' anni di esistenza ed io continuo a ricordare la pienezza di molti dei nostri discorsi e rapporti di allora.

Poi, questa carestia. Interminabile. Tanto da riuscire ad esprimersi, argomentare, dar calore,  appassionarsi, soltanto così. Ma come siamo precipitati in basso.

E la rivoglio, quella roba là, del bacaro. Mai stata più felice di quando ci bastava un litro di torbolino, un piatto di nervetti e la certezza dell' amicizia.
Io la rivoglio, prima della fine del mio tempo.

mercoledì 14 dicembre 2011

Amori da morire -2-

Ad ogni svolta d' esistenza  rivelatasi fallimentare lei s' inferociva sempre più con sé stessa.
Se i più potevano confondere il suo stoicismo esterno con una forma di imperturbabilità e controllo vicino alla freddezza, la verità era che, in lei, le delusioni  scavavano lacerazioni dolorose e permanenti, creando strati e strati di cicatrici sedimentate, tanto che ella aveva spesso l' impressione che simile accumulo potesse trasparire all' esterno, come tracimando, e darle un aspetto grottesco,  mostruoso e ben visibile agli altri.
Nei momenti più calanti aveva affinato una tecnica straordinariamente efficace per contrastare questa piccola psicosi: s' immaginava così intensamente invisibile, per la strada, nei locali, ovunque vi fosse gente, da tranquillizzarsi tra sé e sé: "Non mi vedono,  non possono vedere l' oscenità della mia catasta di presuntuose illusioni sconfessate, di imperdonabili errori di valutazione, di amori finiti, non dimenticati ma giustiziati sull' altare della ricerca della perfezione sentimentale, di velleitarie e reiterate speranze."

E il livore verso sé stessa -lei lo sentiva-, rischiava di sfuggire al controllo, e propagarsi agli altri, rendendola vittima di pregiudizi ingiusti.

Allora decise di non amare per un po', di sospendere la sua ansia di tenerezza e la rincorsa delle impossibili affinità elettive al chiodo,  e non ferire, non ferirsi, non riprovarci.
Almeno per un po' sfuggire alle passioni, tentare di approcciare la vita in forzata dissociazione intelletto-cuore. Ci sono le cose da fare, le imprese da tentare, la creatività da sviluppare, una mèta a scelta da rincorrere, magari pure ammantata di un alone di nobiltà. E ci sono lo studio, la lettura, la musica, i cani, i gatti, i pettirossi. C' è tanto da conoscere, ancora meraviglia, mistero, immaginazione, personalità eccellenti...  

Quale ridicolo proposito.
Ingenuamente ridicolo, pur se in purezza di intenzioni.
L' umano è animale sociale, sostanzialmente tendente verso i propri simili. In fondo è sociale perfino lo stilita che si mortifica sulla sommità della colonna: la scelta di allontanarsi dai suoi cospecifici è sempre frutto di una reazione nei loro confronti.
E non possiamo che vivere con il corpo, trasmettere pensiero mediante il corpo, parlare, guardare, sentire, dare e prendere che con il corpo: rinunciarvi è totalmente impossibile, porta all' alienazione.
Non è sublimandoci che eviteremo di soffrire e, pure non intenzionalmente, dare sofferenza: ci aggredirà sempre, spuntando fulmineamente da un angolo, l' irrefrenabile bisogno di verificarci in vita, di aggrapparci alla materia per non precipitare nel nulla,  di toccare e lasciar toccare questa nostra carne caduca e mortale del cui destino, ad ogni respiro, abbiamo inesorabile e meravigliosamente triste consapevolezza. Ma la difficoltà sta nella conquista della giusta misura,  che per lei -evidentemente- era quella eroica ed onesta. Onesta con sé stessa, priva di infingimenti o tortuosi percorsi interiori su basi di vischiosa malafede.

Due anni di coercitiva apnea sentimentale.
Procrastinare alfine, e fin quanto occorresse, quell' ingorda sua fame d' immenso, quella sua velleitaria pretesa di farsi dèa, toccare il sublime, avvicinarsi alla perfezione, e poi dare e avere ad un altro senza tuttavia perdere né rapinare niente: questo, voleva.
Voleva dimenticare il ripugnante aspetto mercantile dei rapporti umani. Voleva imporsi l' indifferenza ed essere glaciale, così, forse, lo schifo -da congelato-, si sarebbe frantumato in mille pezzi, e poi, finalmente, dissolto. 
Ecco l' idea, per niente geniale, e neppure completamente originale: l' attesa dell' assoluto, oppure niente.
Intanto... provare a  tornare selvaggi.




Riuscì solo a scartare lievemente di lato, se pur con estrema concentrazione ed applicazione, ma non eludersi, né elidersi totalmente.
Ciò che lei era, in fondo, costituiva la vera trappola: essere sé stessa rimaneva comunque il suo vero 'destino'
La disponibilità verso il prossimo -sua caratteristica-, l' interesse per le storie, la vita, i fatti, le idee della gente che incontrava, ma anche -molto più egoisticamente- il piacere che le aveva sempre dato stare vicino ai suoi simili nelle ordinarie situazioni dell' esistenza (lo scambio di gentilezza al bar prendendo un caffé, un estemporaneo  sorriso senza alcuna conseguenza né intenzione, la conversazione, l' uscita in compagnia al cinema, una cena, una mostra, qualsiasi occasione di incontro non sospetta...) a lei erano sempre risultate fluide e naturali, nonostante l' interpretazione altrui, talvolta morbosa. Ma pare che a quest' ultimo fatto non esista proprio alternativa.

Nonostante -dicevo- ciò che si era prefissata, la sua natura era immodificabile ed implacabile.
Come quella di tutti, perché
Nessuno cambia,
Ed ognuno è solo
Punto.
Così si rese conto ben presto che il male non stava affatto nella passione che, travolgendola, l' aveva indotta a vedere delicatezza laddove esisteva soltanto fragilità, ed amore dove invece non c' era che ignavia , ma bensì nell' auto imposizione di un cinismo che non le poteva, in alcun modo, appartenere.

Per un po' volle credere che qualcuno ambisse alla sua vicinanza perché vedeva bella la sua anima, ma non ci volle molto ad ammettere onestamente che era davvero triste raccontarsi simile favola: gli altri non vedono assolutamente nulla.
Imparò che un uomo non riesce a restarti  amico se lo respingi mentre lui desidera anche il tuo corpo, e non aspirerà mai alla tua amicizia se non ti troverà anche attraente,  ed imparò che, pur di non morire di una solitudine più ampia, universale, cosmica, permetterai, tu, donna, di farti ridurre ad uno strumento di effimero piacere.
Capì che era a questo, che si riduceva l' essere selvaggi.
Capì che le affinità elettive sono un sogno. Ma non smettere di sognarle era il modo meno infamante per dare un senso alla sua vita.

(segue, forse...)

martedì 13 dicembre 2011

Cloaca maxima

C' è il parlamentare della Repubblica Italiana che sgalletta e bisticcia con la parlamentare europea sulla cospicuità dei loro rispettivi stipendiucci -anzi indennità, rimborsi, diarie-.

Mi danno il voltastomaco, letteralmente. Sto male.

Li vorrei sprofondati tutti, e definitivamente tutti dimenticati, questi impudichi.

Finalmente tra loro uguali, nella cloaca maxima che spetta loro di diritto

giovedì 8 dicembre 2011

Amori da morire

Si reincontravano, fatalmente, ogni sette anni, senza alcuna intenzionalità ed in modo del tutto casuale, e le conseguenze di simile fortuità,  ogni volta, modificavano le loro rispettive vite, che proseguivano poi separate e senza alcun rapporto né  ulteriore contatto.

Lei era una donna capace, o preda, di una impietosa razionalità, e nel contempo spregiudicata genitrice -ed anzi abile tessitrice- di suadenti e coinvolgenti sogni atti a fornire salvifica alternativa alla sua stessa, ed altrui, mortificante e normo-squallida quotidianità metropolitana.
Di conseguenza, non era possibile per alcuno 'resisterle': risorgendo direttamente dal nero pozzo del suo dolore umano e della sua perplessa e contraddittoria bramosìa del vivere, i suoi immaginari allestimenti in potente alternativa alla noia d' essere -fatti d' amor maschio e cortese ed eroica leggiadria-, erano un canto di sirena per stanchi viandanti ormai dimentichi di sé e dell' infantile inconsapevole abilità di salvarsi nelle coerografie parallele del sogno.


"Sette: ha del pitagorico"  s' accorse lei, più tardi, senza crederci troppo.
"Numero esoterico, in effetti, secondo chi ha bisogno vitale di trascendere l' implacabile uggiosa realtà e l' impermeabile, liscia, fredda superficie della normale vita che ci è dato vivere." cominciava a voler convincersi.
" Sette i giorni della Creazione e della settimana; sette i Chakra; sette il numero della mia personalità associata alla ricerca interiore; di Urano; della contemplazione, ma anche dell' episteme; sette le volte che mi si deve impercettibilmente deludere prima che me ne vada per sempre. Sette è il mio numero. Il mio, che sono duale..." continuava, titillando il pensiero. "Ma io a queste corbellerie fantastiche ed esoteriche non posso proprio credere."

La prima volta della sequenza che si rividero fu un settennio dopo la conclusione dei primi studi superiori. Lei appena sposata, lui in procinto di farlo con la fidanzata ufficiale.
Un' occasione un po' banale: la cena dei coscritti, cui lei aveva partecipato soltanto per via delle insistenze dell' invito, un misto di curiosità per le vite degli altri, e, molto probabilmente ma inconsapevolmente, a causa di un suo certo qual malessere , molto vicino all' infelicità, che la sua fresca condizione matrimoniale le aveva rivelato.
Lui, invece, partecipava sempre a qualunque cosa. Così, giusto per esserci. Essere tra altri. Ecco: per lui ESSERE era sempre CON, TRA, PER, IN RIFERIMENTO DE gli altri, ossia, la comunità.
E quest' ultimo elemento non è irrilevante, per comprendere gli sviluppi della storia.

Ma dopo l' insulsa cena ed i saluti frettolosi alla compagnia, in tre si attardarono sul piazzale del ristorante a chiacchierare ancora un po', per poi accorgersi, trascorse altre due ore al freddo notturno  di quel sabato di febbraio, che non riuscivano a congedarsi. Erano lei, lui, ed un terzo che aveva subodorato la situazione e li amava entrambi, o forse, essendo questi un prete-laico ed essendosi innamorato infelicemente di lei da ragazzino sui banchi di scuola, sperava di poter bloccare, un po' per dover sacro ed un po' per nostalgico egoistico attaccamento al suo antico sentimento, l' imminente inesorabile uragano che già rumoreggiava all' orizzonte.

Nei giorni seguenti l' uragano si scatenò con inaudita violenza: bastò una settimana di ritorno alle consuetudini, perchè la distanza si rendesse crudele ed intollerabile e lui le dichiarasse, al telefono, "Ti amo da morire. Letteralmente, sento che ne morirò."

* Ma c' è qualcosa di più assurdo di questo?
Cos' è che ci fa apparire così profondamente nobile e romantico il morire d' amore?
E cos' è amare se non ambire all' annullamento, al sollievo di liberarsi, finalmente, dall' immane peso di condurre questo nostro 'sé', gravoso opprimente vigliacco, troppo a noi appresso lungo l' intera nostra esistenza?*

Così, tutto fu spazzato via, nel vortice cieco di quella che si rivelò un' illusione e che ora, ragionandoci, pare un disegno del destino, perché non c' è nulla che a noi umani necessiti più dell' astrazione, della narrazione, del simbolo.

*Ma il destino è una favola, un alibi, un pretesto.
Ed invece sono le azioni degli uomini a determinare la loro storia. Sono il loro coraggio, la loro ignavia, la loro forza o la loro fragilità a forgiarlo e determinarlo. Noi siamo condannati alla libertà.*

Lei lasciò suo marito, lui lasciò la fidanzata.
Si guadagnarono entrambi la riprovazione dei congiunti, dei loro ascendenti, di un po' di società.

Lei se ne andò con una valigia d' abiti, senza alcuna pretesa ulteriore, senza cose né desiderio di vantar crediti, trascinando con sé la frustrazione di non poter evitare il dolore di chi pensava di amarla ma nella più completa inconsapevolezza l' aveva già cento volte ferita.
Ebbe modo così di accedere a molte rivelazioni. Vide senza veli tutta la misoginia repressa del proprio padre, il formalismo un po' miserabile di sua madre, l' abilità nel freddo calcolo economico dell' uomo che aveva lasciato ma che, ciononostante, la chiamava piangendo la sua solitudine.

*la vita del marito, poi, andò molto bene. Si riassettò, non prima d' essersi concesso un paio d' anni di spensierato edonismo, con qualche caduta di stile, e si costruì una famiglia finalmente 'affidabile'. Naturalmente 'per sempre', come si usa tra coloro che sanno rendere fissa e sicura la propria vita attraverso istituti, formule, contratti, schemi.*


C' era un amore da vivere, c' era "la favola bella che ieri c' illuse, che oggi ci illude", a consolarla.
Sì, lei credeva d' averne pieno diritto. pensava che ne avessero diritto tutti, purché agissero in chiarezza, in onestà, per quanto fossero costate.

Trascorsero quattro mesi, nel corso dei quali il suo nuovo compagno non fece che piangere sulla sua spalla. Piangeva per il senso di colpa d'aver lasciato la fidanzata ufficiale, che, poverina, era depressa; piangeva perché la sua vita s' era complicata; piangeva perché i suoi ce l' avevano con lui; piangeva perché pensava all' altro, che lei aveva lasciato; piangeva perché la passione vitale di lei lo bloccava anche nell' intimità. E "fondeva". "Sono fuso", diceva, e, subito dopo, si rinchiudeva in casa per "guarire" da quel malanno che non conosce cura e che si chiama viltà. Poi, passata la crisi, la chiamava piagnucolando. "Ti amo da morire. Senza di te muoio"

Lei lo lasciò definitivamente, all' inizio dell' estate.

Volle trattenere una canzone, perché fissava un momento, forse l' unico perfetto in tutta quella sequenza passata di mortificanti disillusioni. Non si può, non si può amare alla pari chi ci ispira mesta compassione, né chi risponde al nostro iniziale eroismo con la sola offerta di fragilità e debolezza.



Poi, trascorsero altri sette anni, e ...

(segue, forse...)

lunedì 5 dicembre 2011

A loro le lacrime, a noi il sangue

Noi, che abbiamo dato i natali al melodramma, non ne dovremmo affatto essere sconvolti...
Ma, prima d' ora, io non avevo mai visto singhiozzare un Ministro in diretta.

Ricordo, veramente, un aspirante Presidente del Consiglio, in tempi già sospetti -ma soltanto per i più 'scafati' e maliziosi, i soliti 'comunisti'-, piangere nel 1997 sull' atroce sorte di alcuni diseredati disgraziati,


e poi anche, un po' più tardi, per la dipartita di un fido dipendente di sue televisioni, esecutore scrupoloso di un' importante parte del grande processo storico di mediocratizzazione del nostro Paese, ma non esisteva ancora l' amara odierna consapevolezza d' essere tragicamente in bilico sul baratro economico e finanziario di un intero sistema.

Ci son stati, nel frattempo, molti profeti. Ed i profeti, per loro stessa natura e destino, o sono disarmati, o troppo depressi e depressivi per risultare efficaci, oppure un po' ignavi e dalla voce niente affatto stentorea.

Il risultato, giunti al capolinea, sono le lacrime di una Ministra, la quale, annunciando il prossimo venturo colpo d' ascia su tutti coloro che accasciati già lo erano da sempre, o ne prova cocente vergogna, o dà una dimostrazione davvero encomiabile di autentico talento d' attrice.

A lei le lacrime, ed a noi
il sangue.

domenica 4 dicembre 2011

Rarefazione

Sono una creaturina respirante, qui, su una  palafitta di barena e velma, e l' acquerùgiola della nebbiolina padana mi risucchia nel passato, ancora palpitante - cuore aperto, anima nuda-, di un' infanzia mai tradita, rimasta nel suo pertugio ricavato nella cassa toracica -odi: sta qui e pulsa e spinge-, in ombra e luce, eternamente presente, sola certezza, sicuro porto.


*

Sul quaderno nero dallo spessore rosso, l' esercizio di grammatica: acqua, acquacedrata, acquacoltura, acquaforte, acquafortista, acquàio 1, acquàio 2, acquaiòlo, acquamanile, acquamarina, acquametrìa, acquananfa, acquanàuta, acquapiano, ... acquattare, acquavite, acquazzone, ... acquiescènza, acquièscere, ..., acufèni ,acuire,  acuità, ...

*

Vago, vasto, perduto, provocano piacere, come se sapessimo naturalmente che la sola felicità possibile e non effimera sta soltanto negli istanti di sospensione della nostra stessa vita.
Questo a me succede - s' intende-, ma certo non soltanto a me.

Sto bene, ora, sospesa sulla rocca. C' è un piccolo prezioso assembramento di cuori, quassù, nel vento.
Sapere di non sbagliarmi, averne ferma sicurezza, equivarrebbe alla perfetta felicità. Felicità è pura idea.

Ci sono le grandi fiumane di ideali tipi umani, e questo carambolare nel mondo e nella vita altro non è che il tentativo di non affogare in quella  non confacente ed ostile.
Ricerca dell' affinità, del piacere intellettuale - ma pur sempre esclusivamente ed indiscutibilmente umano- pur tra i mille rigagnoli e rami di un enorme bacino di reti e di impulsi nervosi, fatto di vero, e di falso, di illusorio, di geniale, di strumentale, od assolutamente sincero.

Ciò che è passato, strappato via dal tempo, è eterno rimpianto: quanto l' amiamo; quanto amiamo il nostro dolore.
E le speranze dell' impossibile.


 

giovedì 1 dicembre 2011

Così, per dire

*

Il signor Monti deve spiegare a noi comuni mortali - e fra poco, anche grazie a lui, morenti -, lo sviluppo corretto dell' equazione: ' posticipo età pensionabile=impulso assunzioni giovani e donne', perché io proprio non riesco ad arrivarci.
Sarà un mio imperdonabile limite, per carità...

Pare quasi che le aziende non assumano perché è troppo costoso incrementare il numero dei dipendenti, perché le banche non concedono credito, perché la tassazione fiscale è troppo alta,  ma non è soltanto questo: qui, nella piccola realtà imprenditoriale del Nord Est, per esempio, non assumono -ed anzi mettono le maestranze in cassa integrazione-, anche perché non hanno commesse di lavorazione, né ordini.

Senza investimenti non cambierà mai nulla, in verità, e tutto il resto è demagogia spicciola, o panzane belle e buone, senza pudore.

Ma è solo una noterella da discorso da osteria. Uno sfogo estemporaneo. Massì: questo è il mio piccolo Tempio (singolare rocca isolata, ma paradossalmente aperta al mondo)  e posso essere anche banale. Liberamente banale. Perché no.

Possiamo essere talmente liberi da non sentirci obbligati a spocchiosi intellettualismi, se ci pare. Non è così, Cavaliere Errante?

*


Il fatto è che le classi dominanti degli ultimi decenni hanno fallito i loro stessi programmi di felice globalizzazione; le ideologie borghesi han portato al disastro attuale, la cui più grave conseguenza è forse l' ottundimento sociale che sta sotto agli occhi di tutti.

Siamo tramortiti, in verità, ma con il  pesante sospetto che la democrazia stia dimostrando qualcosa di mostruoso: è cioè d' essere una colossale fregatura per i soliti noti, ovverossia i lavoratori a reddito basso, i giovani, le donne.

Patrimonio, evasione fiscale, equità sono eresie.

E stavolta, non c' è alcuno spettro che vaghi per l' Occidente.