mercoledì 30 novembre 2011

Silenzio: è solo mia.

Ma come si permettono, questi pusillanimi, questi esseri atterriti, abbarbicati in modo spesso osceno  ad un' idea di esistenza illusoria, o totalmente ipocrita, o, comunque, soltanto loro, a blaterare, disquisire, legiferare, pontificare, ipotizzare, sulla mia morte?
Silenzio: è soltanto mia.

S' interessassero, semmai, della mia vita, questi voyeur morbosi dal bieco moralismo... S' interessassero della mia malattia, della mia solitudine, della mia disperazione, dei miei pensieri, del mio dolore, mentre esisto...
No, vero? Chi se ne importa? Chi sei? Che vuoi?
Nessuno. Sono Nessuno, quindi,
silenzio: la mia morte è mia.

Ma essi non sopportano l' idea che io faccia ciò che non sanno fare: sottrarmi alla paura che comanda da sempre la loro esistenza.






martedì 29 novembre 2011

Sì,anch' io

Il male non è nel desiderare, come i mistici ed i pseudo-filosofi insinuano.
Desiderare è totalmente e indefettibilmente umano.
Costituisce  naturale conseguenza del pensiero e dell' immaginazione, che sono i connotati salienti della nostra specie.
E' talmente umano e sensato sperare che quanto costituisce l' essenza della vita interiore, la riflessione non disgiunta dall' astrazione, il pensiero proiettato sempre altrove, oltre lo spazio ed il tempo, possa in qualche modo materializzarsi e realizzarsi...
Ho imparato a diffidare dal pragmatismo nudo e crudo, patrimonio solitamente dei poveri di spirito.

Quel che a me pare disdicevole è semmai il desiderio compulsivo e scostante, oppure anche ossessivo e maniacale, limitato al più becero edonismo, o mosso comunque dai pruriti morbosi  di una sfera irrimediabilmente egoistica, perché non può che schiacciare verso il basso e seppellire l' anima nel sottosuolo.
Questo, appunto, è il modo di desiderare cui è stato addestrato l' uomo moderno, lo schiavo consenziente di una società ingorda e di bocca buona.
Che si tratti di bramare un qualsivoglia oggetto, sia esso un corpo, una cosa, un traguardo mondano, un' affermazione personale attraverso il beneplacito altrui (della cui autenticità senza secondi fini non si può in nessun caso essere certi mai), sempre nei bassifondi di un piacere vanesio e velleitario si vuol sguazzare. Non deriva, allora, alcuna significativa acquisizione da ciò che si pensa di volere in modo estemporaneo e consumistico, la memoria -più tardi- non ne sarà intaccata, nessun progresso interiore o nuova consapevolezza: solo grugniti o gongolamenti grossolani, nei quali si vuole talvolta a tutti i costi intravedere qualcos' altro di trascendente, o nobile, che non c' è affatto.

Ci sono desideri ignobili (la maggioranza) perché espressi in debolezza d' indole ed in malafede, con intenti  triviali di rapida consumazione, pur se imbellettati spesso con polverosi pretesti,  ed altri, invece, degnamente umani.

Desiderare l' Amicizia, che è il massimo dei piaceri, ed al contempo il più raro ed altruistico, il più elettivo, il più completo.
Desiderare l' equità sociale, un mondo vivibile, il trionfo della Bellezza, la solidarietà tra uomini, rapporti finalmente gratificanti tra i generi.

Illusorio, anche questo, lo so. Perfino un po' sciocco. S ha d' avere grosse spalle, caricarsi questo fardello di solitudine e disgusto, ed andare,  'finché i piedi ci portano'...
Si tratta di parole. A condividerle non ci vuole nulla. Basta dire "sì, anch' io". Poi, il senso comune ammette tranquillamente che si possa tacere.

No davvero, non c' è scampo.

sabato 26 novembre 2011

Il selvaggio dolore dell' amore umano

Lo  vedeva di spalle, attraverso una vetrata, talvolta. La prima volta che successe, lei, lasciato riaffiorare il suo cuore dal pozzo improvviso in cui era precipitato sequestrandole finanche il respiro, provò gratitudine verso l' insperato caso ed il vitale assurdo gioco delle coincidenze improbabili.
Lui sapeva che la malinconia della madre, in quel momento, lo accarezzava come quand' era bambino ed insieme allestivano il rito della buonanotte. Ma lo sapeva al colmo della sua contraddizione d' indole: ignorandolo, rendendone sordo il richiamo.

Anche allora, il velo di tristezza di lei, che lui bimbo non coglieva se non attraverso un misterioso invisibile filo retaggio dell' originario cordone ombelicale, era il sunto stesso dell' Amore di madre, che sa d' aver trasmesso alla sua creatura, insieme alla vita, il destino atroce degli incessanti distacchi ed il vizio implacabile della morte. 

Lei, accettato suo malgrado il sacrificio dovuto, si ripeteva che non esiste vittima incolpevole.

Se pure è il padre che Edipo uccise, suo figlio, eccentrico e scostante, aveva scardinato il mito, rifiutandola perché rea d' aver amato con troppa silente paura.

Ora, però, il figlio aveva il dovere di cercare d' essere felice, e lei di sopravviversi, altrimenti le  lacrime sarebbero state vane e scandalosamente perdute: tra tutte le possibili sciagure sarebbe stata questa la più abominevole.
La trasparenza  ingannava, dandole l' effimera illusione d' essere una contemplatrice spassionata, una spettatrice senza coinvolgimento.
"Come sei bello con il tuo profilo perfetto e crudele: Antinoo senza più innocenza".

Ecco: doveva diventare trasparenza eterna, dolore eternamente filtrato da un dialogo senza voci e senza corpi, capace di mantenere cristallizzato l' originario nucleo del loro industruttibile e fatale legame.

Forse soltanto così avrebbero raggiunto reciproca assoluzione e perdono.



mercoledì 23 novembre 2011

Ciò che importa veramente.

"Quelli che ci dicono che le cose di questa vita, la gloria, le ricchezze e l' altre illusioni umane, beni o mali ec. nulla importano, convien che ci mostrino delle altre cose le quali importino veramente, Finché non faranno questo, noi, malgrado i loro argomenti, e la nostra esperienza, ci attaccheremo sempre alle cose che non importano, perciò appunto che nulla importa, e quindi nulla è che meriti più di loro il nostro attaccamento e sia più degno di occuparci. E così facendo, avrem sempre ragione, anche, anzi appunto, parlando filosoficamente."

(G. Leopardi [3891]Zibaldone)

Quando si dicono le scappatelle filosofiche, anzi
le bagatelle...



Donna dannata

A me pare che più simile ad una tredicesima fatica d' Eracle, una volta purgata la follia della giovinezza in cui è stata soprattutto passione a decidere erigere e distruggere la propria esistenza, sia addivenire a mostrare il proprio volto rasserenato, non più contratto dagli eccessi dei sensi, in limpida chiarezza, senza più tema di giudizio e pesamento da parte di coloro di cui si riteneva, molto probabilmente essendo in errore, di aver assoluto bisogno.

Non mi serve, non più, di cercare la loro approvazione, la loro benevolenza.: nessuno di loro, a ben guardare, mi conosce, né s' è adoprato per tentare di conoscermi. Mi riecheggia sempre l' antico monito agli spettatori alla fine della tragedia "Voi li aspettate invano: son tutti morti".
Non ho bisogno di misurare il loro attaccamento; io non uso attaccarmi, mi servirà sempre un po' di cielo, ed il cielo non si può scorgere neppure dalla più sontuosa delle dimore, se le finestre sono poste così in alto da impedire lo sguardo.
Dopo l' ermo colle, pur sempre caro, si apre la ventosa prateria. 
Ho nella memoria quel passeraceo catturato con una trappola di colla in un bosco della mia infanzia: un' esile ala irrimediabilmente spezzata nel tentativo di liberarsi, il becco semiaperto, l' ultimo muto rimprovero alla sorte fissato nell' occhio opaco. Perciò non voglio. 

In età matura ogni cosa è già passata in giudicato. Niente rivisitazioni.  E' questa la prassi. Così accade. Così pensano.
Ma non va bene. Noi continuiamo, per l' intera nostra vita a permettere che gli altri pensino che siamo ciò che, veramente, non siamo affatto, non siamo stati mai, e ci disgusta anche solo sfiorare l' ipotesi d' essere.
Generalmente consentiamo questo malinteso in perfetta malafede al solo fine di non restare soli,  o nella speranza di non ferire l' altrui sensibilità
Ma l' altro -perdonate- s' è posto il problema di come si senta un individuo strumentalizzato, equivocato, da chi antepone alla ricerca della verità, alla comprensione, il soddisfacimento dei suoi edonistici o narcisistici fini, l' allestimento di una sua personalissima ed incondivisibile illusione?

*
 



Donne Dannate

Coricate sulla sabbia come armento pensoso volgono gli occhi verso l'orizzonte marino e i piedi che si cercano, le mani ravvicinate hanno dolci languori e brividi amari.
Le une, cuori innamorati di lunghe confidenze, nel folto dei boschetti sussurranti di ruscelli, vanno riandando l'amore delle timide infanzie e incidendo il legno verde dei giovani arbusti;
altre, camminano lente e gravi come suore attraverso le rocce piene di apparizioni, dove Sant'Antonio vide sorgere, come lava, i seni nudi e purpurei delle sue tentazioni;
e ve n'è che ai bagliori di resine stillanti, nel muto cavo di vecchi antri pagani, ti chiamano in soccorso delle loro febbri urlanti, o Bacco, che sai assopire gli antichi rimorsi.
Altre, il cui petto ama gli scapolari e nascondono il frustino entro le lunghe vesti, mischiano, nelle notti solitarie e nei boschi scuri, la schiuma del piacere e le lagrime degli strazi.
O vergini, o demòni, mostri, martiri, grandi spiriti spregiatori della realtà, assetate d'infinito, devote o baccanti, piene ora di gridi ora di pianti,
o voi, che la mia anima ha inseguito nel vostro inferno, sorelle, tanto più vi amo quanto più vi compiango per i vostri cupi dolori, per le vostre seti mai saziate, per le urne d'amore di cui traboccano i vostri cuori.
 
(Charles Baudelaire, I Fiori del Male)


 

domenica 20 novembre 2011

Tipi -3-

Si rivelano quasi immediatamente attraverso una caduta di stile più o meno incresciosa.
In quest' ultimo campo esiste una grande varietà di sfumature che vanno dalla leggera, appena increspata, opacità rispetto al colore di base alla più sfacciata deturpazione, in cui l' eccesso di intensità offende la vista.
Qualunque sia, comunque, lo scarto dall' ideale purezza prescritta, sia esso lieve o pesante, ciò che esso dimostra e sancisce è sempre  una sostanziale grettezza d' animo.
L' animo gretto non può aspirare ad alcuna emendazione: la delicatezza e la nobiltà del sentire non si possono apprendere né mutuare. Seppure dopo lunghi esercizi e tentativi, e nonostante lo sforzo di autocontrollo, lo spirito gretto troverà, del tutto autonomamente ed a dispetto delle intenzioni del suo ospite e custode, il modo di rivelarsi inequivocabilmente, sancendo così, per l' ennesima volta ove ve ne fosse bisogno, l'assoluta saggezza del vecchio adagio che vuole l' idea spesso lontanissima e talvolta contraria alla conseguente azione.

La grettezza morale è democratica ed equamente distribuita, come l' influenza virale: nessuna differenza di casta, censo, genere, istruzione.

Il terreno ideale della sua manifestazione è, come facilmente si può intuire, l' approccio interlocutorio uomo-donna.
L' incontro di due universi sconosciuti, potenzialmente tanto complessi e ricchi fornisce quanto di più esemplare si possa desiderare per la verifica.
Che, nel 99% dei casi, conferma la schiacciante predominanza dell' istinto grossolano ed utilitaristico, sempre edonistico, su qualsiasi altro fine di un rapporto, anche occasionale.
Le circumnavigazioni sulle argomentazioni erotico-sentimentali sono quasi matematicamente certe.
Monotonia assassina.
Esiste davvero soltanto un modo di darsi piacere, da umani? La conoscenza, la meraviglia, l' acquisizione tutta intellettuale -per una volta senza fluidi, incorporea- del nuovo, non è altrettanto -se non di più- seduttiva?
Imparare, interpretare, non è ... bellissimo?


*

Con un caro amico abbiamo favoleggiato, letterariamente, sulla comunicazione 'extra-sensoriale' possibile tra sconosciuti. Ci si beava del sogno che gli occhi potessero trasmettere ad un altro simile, senza il supporto di alcun altro convenevole, la tenerezza e la commozione d' avvertire in sé la burrascosa mescolanza di lacrime inespresse e commozione sublime che sono privilegio e dannazione della condizione umana.
Ma la realtà -ci siamo detti- ci banalizza e ci riduce, e -aggiungo io- brutalizza ogni immaginazione che si desiderava empatizzare  e che pur sappiamo esistere in occulta verità ma irrimediabilmente murata tra i merli e le pur magnifiche guglie dei nostri singoli ed inespugnabili castelli di ghiaccio.

Non ci è dato il linguaggio comune dell' anima; la condanna di troppa potenziale bellezza è la crudeltà di una sostanziale inconsolabile solitudine.
E' una tragedia.
E l' ennesima indefettibile prova che Dio non c' è.

venerdì 18 novembre 2011

Sconclusioni

Potere, Desiderio, Violenza.
I temi del Divin Marchese, in sostanza per comprendere ciò che vorremmo capire tutti, perfino oggi: si può, si potrà mai, superare la barriera tra uomo e uomo?
E c' è una possibilità, per l' uomo, d' essere felice, in qualche anfratto dell' universo, un pertugio dell' anima, un istante perfetto?


*

Sade è tornato all'interno dei vulcano in eruzione
Dal quale era venuto
Con le sue belle mani ancora frangiate
I suoi occhi da giovinetta
E quella ragione da fiore di si-salvi-chi-può che fu
Solo sua
Ma dal salotto fosforescente a lampade di viscere
Non ha cessato di lanciare ordini misteriosi
Che aprono una breccia nella notte morale
Attraverso questa breccia vedo
Le grandi ombre vacillanti la vecchia scorza minata
Dissolversi
Per permettermi d'amarti
Come il primo uomo amò la prima donna
In tutta libertà
La libertà
Per la quale il fuoco stesso s'è fatto uomo
Per la quale Sade sfidò i secoli con i suoi grandi alberi astratti
D'acrobati tragici
Aggrappati alla fibrilla del desiderio.

[Da L'air de l'eau (1934), in A. Breton, Poesie, trad. di G. Neri, Torino, Einaudi, 1977, p. 101]


*





Non conosco persone libere.

E non conosco persone felici. Conosco, semmai, individui che hanno deciso di chiamare 'felicità' una presa di posizione ed una scelta di campo esistenziali.
Sono piene di rammarico e risentimento, talvolta apparentemente assopite, talaltra rabbiose, assetate di vendetta, affamate di riscatto. E che succeda in fretta, ché la vita si consuma, arde i nostri sogni, quelle mirabolanti fantasmagorie di cui siamo capaci, nonostante la misera corruzione della nostra carne.

Bastasse il rifiuto intellettuale! Bastasse la consapevolezza! Il risveglio, l' uscita dall' ombra nebulosa degli alibi e delle mediocrità!

Hanno sempre amato per perpetuare la specie, con il beneplacito di Chiesa e Potere, credendo che esista una forma 'lecita' di felicità.

"Pedanti, carnefici, secondini, legislatori, canaglia tonsurata, che cosa farete quando saremo arrivati a quel punto? Che cosa diventeranno le vostre leggi, la vostra morale, la vostra religione, le forche, il paradiso, i vostri dèi, il vostro inferno, quando sarà dimostrato che questo o quel moto delle linfe, questa o quella specie di fibre, questo o quel grado di acidità nel sangue o negli spiriti animali bastano a fare d'un uomo l'oggetto delle vostre pene o delle vostre ricompense?"

Lo so bene. L' ho tradotto nella mia quotidiana pratica. Molte e molte volte ho sconfitto la facile seduzione dell' ignavia.
Forse ho distrutto, lo confesso.
Ma erano castelli di carta. Erano piccole misere torri di Babele, che il mondo  reputava pilastri.
Ed è lecita la distruzione?
No, non lo penso. Dev' esserci un' altra via, la distruzione non era il fine.
Io amo la vita. E credo che vivere sia amare, seppur non certo limitatamente in senso romantico e cortese, e men che meno come lo dettano le morali. E' altro, enormemente più grande. La motrice del respiro stesso.

"La morale cristiana, con la quale - con disperazione e vergogna, bisogna spesso confessarlo - si è ancora lontani d'averla fatta finita, è una galera. Contro di essa, tutti gli appetiti del corpo immaginante insorgono. Per quanto tempo ancora bisognerà urlare, agitarsi, piangere, prima che le figure dell'amore divengano le figure della facilità, della libertà?"
(Paul Eduard)

martedì 15 novembre 2011

Regina del vero

La solitudine, il bisogno di essere presenti nei pensieri di qualcuno, di non soccombere ad un' idea di irrilevanza, di misera valenza, spingono a cercare sollievo e, nel cercare - e solo allora-, ad accorgersi alfine dell' altro.

Il fascino dell' esercitare una qualche misura di potere, su di un proprio simile od un' intera società, è quanto maggiormente ci allontana dalla possibilità di liberarci.
Ma questa è una singolare cura, troppo spesso estemporanea ed effimera, e terribilmente egoistica, per un malanno in realtà inguaribile.
Da qualsiasi prospettiva si cerchi di considerarlo, in genere l' uomo brilla soprattutto di riflessi del suo stesso esasperato Ego, ritenuto mille volte ucciso nella progressione della crescita e del distacco dalla fase infantile, e conseguenti mille altre volte risorto più tonico ed ostinato di prima.

Ciò che stempera la colpa di non essere altro, alla fin fine, che l' eterna replica di un fanciullo incessantemente desiderante è la coreografia della nostra vita. Sono le battute e le rappresentazioni, più o meno felici, che ci capita di produrre di tanto in tanto - chi più chi meno frequentemente-  a riqualificare la nostra pedante, pesante, mortalmente noiosa essenza.

E' pur sensato affermare allora che la nostra stessa immaginazione è quanto più si avvicini alla possibilità di verità: immaginazione, "unica regina del vero", dichiarò Baudelaire.

Nella più profonda aderenza al mio sogno, e soltanto allora, sono inconfutabilmente vera ed il fantasma della felicità può essere afferrato, per un istante posseduto.

*

" [...]
Tuttavia il dio si innamora della mortale e, con l'aiuto di Zefiro, la trasporta al suo palazzo dove, imponendo che gli incontri avvengano al buio per non incorrere nelle ire della madre Venere, la fa sua; così per molte notti Eros e Psiche bruciano la loro passione in un amore che mai nessun mortale aveva conosciuto; Psiche è prigioniera nel castello di Cupido, legata da una passione che le travolge i sensi.

 
Una notte Psiche, istigata dalle sorelle, che Cupido le aveva detto di evitare, con una spada e una lampada ad olio decide di vedere il volto del suo amante, nella paura che l'amante tema la luce per la sua natura malvagia e bestiale. È questa bramosia di conoscenza ad esserle fatale: una goccia cade dalla lampada e ustiona il suo amante:
« … colpito, il dio si risveglia; vista tradita la parola a lei affidata, d'improvviso silenzioso si allontana in volo dai baci e dalle braccia della disperata sposa (V, 23) » [...] "
(da Wikipedia)

*

sabato 12 novembre 2011

Soledad



Dev' essere per via di quella nota  e semplice osservazione secondo la quale "il flauto va in cerca del suonatore che suona il flauto" (R. Tagore) che tengo in vita questo mio blog.

D' altro canto, essendomi totalmente indifferenti altri eventuali fini (che però temo rivestano enorme importanza per la quasi generalità dei blogger, come la visibilità o il numero di seguaci), la mia sola velleità rimane quella di conoscere qualche sparuta anima bella ed ogni tanto consolarmene.

Naturalmente si tratterebbe di ragioni assolutamente involontarie, un po' misteriose, intestine, ma che, se non altro, testimoniano come io mi senta un individuo tutt' altro che autosufficiente e compiuto.
E' altresì vero che la faccenda si complica orribilmente quando scopro d' ospitare in me entrambe le attitudini, almeno potenzialmente.
Potrei essere flauto e poi anche suonatrice di flauto; ma in nessun modo potrei suonarmi da sola. E' questione di reciprocità, di dialogo armonico: ci si deve per forza suonare a vicenda, sulla stessa lunghezza d' onda.

Quel che è davvero arduo è sapere con certezza quando tale alchimia sia effettiva, indubbiamente vera.
Ne deriva che è forse impossibile  crederlo vero fino in fondo.
E ciò succede inevitabilmente agli uomini, una volta svezzati totalmente. e quando, cadute le illusioni, digerite e metabolizzate le disillusioni,  si ritrovano a trascinarsi sulla strada del loro percorso con i piedi sanguinanti e nessuna meta ancora visibile all' orizzonte.
Questo è il colossale collo di bottiglia esistenziale.

Perciò, questa ballata di Violeta Parra, con la dolcezza straziante di quel flauto che pare un pianto ancestrale che proviene e riconduce alla notte dell' Uomo,  è dedicata a coloro che sanno commuoversene, perché la leggono dal mio stesso spartito,  lo conoscono a menadito, ed hanno capito che alla solidarietà umana nessuno può ormai più né crederci, né totalmente smettere di sperarci.



mercoledì 9 novembre 2011

Indoli dissidenti

Oh, Cielo,
sono paralizzata dall' ansia.
Ho paura, paura, paura.
Non so se riuscirò a gestire la precarietà della mia vita. Oggi un uomo quarantaseienne m' ha chiesto di assumerlo, e l' altro ieri è stata la volta di una voce di donna, telefonicamente.
Riso amaro: non copro ancora le spese.

Se mi chiamassi Mr. Tomaia's e producessi scarpe casual-lussuose 'Made in Italy' , assumerei volentieri dipendenti, magando risparmiando sull' acquisto di pagine del Corsera, ma così non ha voluto il Fato, ed allora...

La mia generazione sta per metà in ginocchio. Non solo giovani, quindi, senza futuro, ma anche maturi adulti senza presente...
Ma l' Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro, almeno sulla carta...
Beh, o voi che un lavoro, anche mal pagato, ma regolare, ce l' avete, state per diventare, bizzarramente, 'privilegiati'.
E se torna il DAP?
Non sono certa d' averlo sconfitto, quel mostro strangolatore; sospetto che si sia soltanto acquattato nel buio e nella melma della dimenticanza, ed aspetti.
Aspetterà con infinita pazienza, quell' infido: esso suole aggredire le sue vittime a tradimento.
Involvo in quel che non sapevo ancora d' essere, che non sono stata mai, neppure quando avrei potuto.
Una bambina tremante, in attesa del suo buon gigante.
... lo scimmione King Kong, disposto a scalare il grattacielo per amore della mia fragilità umana, della mia fame d' amore, dell' ossessione di morte, della perenne nostalgia delle origini perdute...
Da fanciulla mi sono vietata le lacrime: è così che ho potuto sopravvivere ad un cuore troppo oscenamente tenero. Poi, le ho celate nella notte. Non le devono vedere, non le devono usare: la vista della debolezza induce alla schiavitù chi si auto-gratifica proteggendo, ed io non so concepire che rapporti tra liberi.
Ma questo presuntuoso eroismo non è servito che a farmi enumerare i caduti, ed ora contemplo sepolcri, e rabbrividisco.
Non ho saputo trovare il punto d' equilibrio tra lo strazio e la passione.

Non siamo responsabili di tutto, questo non doveva essere il nostro mondo. Altri, pochi altri l' hanno deturpato così, per meglio gestirlo. Sono allora nati i codici. "Così amerai, così vivrai, così morirai, quando, quanto e come determineremo che sia più opportuno".
Ma io sono dissidente, nell' indole; mi ostino a sognare improbabili specie di viventi in cui l' ideale non sia in conflitto con le scelte, mi ostino a volermi integra e non smembrata, anche se talvolta d' integrità si soffre e forse anche si soccombe.

Amico mio caro d' autunno, bello sarebbe girovagare con te sopra vie senza fine  e senza meta di tappeti di foglie fragranti, inventando nuovi miti, come se il resto, tutto il dannato resto, fosse evaporato nel nulla e per sempre.



lunedì 7 novembre 2011

Notturno dei contrari che si respingono

Non è sempre vero che il pensiero, se non altro, è l' elemento in assoluto più libero e salvifico di cui un umano disponga.

Certamente non può esserlo per chi si ritrova prostrato in situazioni di bisogno, schiacciato sotto il peso di gravi preoccupazioni, indebolito dalla sua fragilità sociale -perché privo di sostentamento economico, o malato, o senza congiunti, familiari, amici-, depresso.
In tali circostanze il pensiero rimane circolare, indugia nel piccolo gorgo affossante ed irresistibile della fame che il corpo prova, della paura che l' incerto futuro incute, della tristezza che azzanna alla gola ed induce al sospetto, al nichilismo, alla desistenza.
Non si può esercitare alcuna vera libertà quando ci si trova in istato di stress: ogni elucubrazione, ogni immaginazione, perfino ogni sogno ne risultano pesantemente influenzati e come abbassati, nonostante una volontà contraria -consapevolezza- teorizzi lo sganciamento tra la dura realtà e le evoluzioni del pensiero.
Nulla è tanto difficile quanto poter immaginare lo stato psicologico altrui e niente assomiglia di più alla grazia dell' amore quanto la capacità di empatizzare con il dolore dell' altro.
Ma non succede che rarissimamente.

Di che parlano, allora, i teorici dell' intelligenza sociale: l' empatia non s' impara.
La vera empatia è viscerale, ferina, avanguardista: arriva prima dei segni, dei gesti, dell' intelligenza, come se si trattasse di un' alchimia divina, anziché di mera chimica...
Sono i neuroni a riconoscersi, ad  influenzarsi, a specchiarsi. Lasciano tracimare riso e lacrime, ebbrezza, terrore, panico, sudore, eccitazione.

Ma il margine di libertà,  originalità, l' impossibilità di replica, mantengono un' assoluta unicità pur nell' automatismo delle cellule filiformi.
Non si empatizza sempre, e non con chiunque, neppure se questi ne sarebbe ben disposto. Perché?

I contrari si respingono...


*

Mi sa che la mia storia è fatta tutta d' empatie fittizie, probabilmente più desiderate che oggettivamente esistenti: era un modo per sedare, con ogni probabilità, un' irrisolta ed atavica ansia di affinità con altri umani. E' il pietoso errore di chi ama troppo i suoi simili, di chi li ama fin troppo ostinatamente, con un degenerato accanimento che si fa protervia. D' altronde, se fittizie non fossero state, lo spirito non si sentirebbe così solo.

Ma da oggi smetto. Sarò, docile e non più scalpitante, capace di distinguere ed accogliere quelle elettive e vere.


sabato 5 novembre 2011

Buona giornata, incommensurabilmente grande stronza

Al solito bar, stamattina, per il solito, ennesimo, caffé.
Solita noia, solite facce anonime ed indifferenti. Reciprocamente. Democraticamente e correttamente indifferenti.
Solita gente -anche-, ammiccante con il barista, il quale, professionalmente, deve pur ostentare simpatia che forse non prova.

(Si tratta di un'arcano irrisolto: "Perché la gente ci tiene così tanto, ma proprio sempre così tanto tanto, ad ammiccare con i baristi?". E' una questione sociologica che mi attizza infinitamente da sempre.)

Beh: è il gioco delle maschere. Vecchio come il mondo. Triste come il mondo. Nulla di degno di nota.

Se non che, ad un certo punto, la tizia che parlava al cellulare termina la sua telefonata e continua una sua evidentemente già prima in atto conversazione con un' altra tizia.
In tono confidenziale, pare: si vede che un po' si conoscono.
E parlano -intuisco- di una persona terza, nota ad entrambe, non so a quale livello.
Niente di che.
Ma, poco prima di varcare l' uscio per andarsene, la tizia-1 conclude a dire, con ostentato disprezzo, alla tizia-2: "... e poi, quella è una sporca rossa".

Allora, che volete, io sono trasecolata, pur se intimamente.
Ho provato un implosivo, educatissimo, invisibile ma portentoso sentimento di furore.
Perché non si può ancora, oggi, sentir proferire una simile vetusta formula senza battere ciglio e men che meno nelle nostre edulcorate, viziate, fascisteggianti democrazie occidentali: necessariamente  esse stimolano l' insorgenza di altri sospetti, conclusioni, ipotesi.

E mi sono immaginata, allora, che la tizia-1 potesse aver affibbiato con tanta frustrata acrimonia l' antigienico aggettivo alla persona assente di cui parlava per ragioni molto più personali che politiche, come, ad esempio, il fatto che tizia-1 non vorrebbe sentire da alcuno affermare che "le tasse le dobbiamo pagare tutti in ragione delle rispettive capacità contributive", che si deve -TUTTI- rigar dritti e rispettare le leggi, oppure anche -e Dio non voglia!- che qualsiasi privilegio di casta e censo è ingiusto ed immorale e che l' accumulo dei patrimoni ha qualcosa di sempre sospetto: insomma, tutte robe che di solito dicono i luridi rossi.

Così, tra me e me, una volta vistala uscire dal bar, ho sentito una vocina che le si è così rivolta:
"Buona giornata, incommensurabilmente grande stronza..."

giovedì 3 novembre 2011

E' il mare andato col sole...

"Chiodo scaccia chiodo, ma quattro chiodi fanno una croce" (C. Pavese)

La letteratura acquista senso quando le parole prendono vita, quando diventano la tua vita, quando ti penetrano, come queste, in un doloroso amplesso senza speranza.
Le senti fino in fondo, con crudele chiarezza, quando -combinazione-, sei pure tu al quarto fatidico chiodo.
Ma a che può giovarti, adesso, scrittore, dato che quella croce ti ha ucciso, la comprensione e l' ideale sodalizio con un lettore che prova il tuo stesso supplizio?
A nulla.
Il tuo dolore passato non allevia quello del morituro, ed a te non serve più niente.
E poi..., magari non eri neppure il mio tipo, né
io,
d' altro
canto,
il tuo.

*

Che resta, finché durerà, allora, se non qualche immagine calda d' autunno?
Vivo lo stesso, ogni tanto, mentre passeggio con Neve di buon' ora lungo il vialetto deserto degli Orti.
E' splendido. Simmetria di fusti neri e rugosi ricamati da tralci d' edera verde petrolio ed un tappeto   giallo/ocra e viola. La Terra muore gloriosamente, in novembre.
Non è difficile, chissà, se non ci si oppone...
Crepitìò di foglie, come sbriciolìo d' ossa. Poi sarà polvere, restituita al vento, e poi silenzio.
La mia cagnetta segue piste irresistibili, con quel suo tartufino nero fremente. Quanto le invidio la sua perfetta felicità.

*


Il quarto chiodo ha scacciato la speranza, l' abilità d' attendere. Il cielo si oscura, la notte è un nero sudario. Ho dimenticato: com' era ridere?, com' era credere?

A sapere troppo, ad aver troppo capito, troppo inghiottito d' amaro e d' assurdo, troppo scrutato, con troppa famelica meraviglia, ci si guadagna il nulla. O l' eternità.

*

" E' ritrovata.
Che? -L'Eternità.
E' il mare andato via
Col sole.
 
Anima sentinella,
Mormoriamo l' assenso 
Della notte di niente
E del giorno di fuoco
.
Dai suffragi umani,
Dai comuni slanci
Tu là ti liberi
E voli a seconda.
 
Poi che da voi sole,
Braci di raso,
Esala il Dovere 
Senza un: finalmente.
 
Là niente speranza,
Non c' è un orietur.
Scienza con pazienza,
Il supplizio è certo.
 
E' ritrovata.
Che? -L'Eternità.
E' il mare andato  via
Col sole."

(A. Rimbaud)

mercoledì 2 novembre 2011

Perdonaci



"Conosco, anche perché le vedo e le vivo, alcune caratteristiche di questo nuovo Potere ancora senza volto: per esempio il suo rifiuto del vecchio sanfedismo e del vecchio clericalismo, la sua decisione di abbandonare la Chiesa, la sua determinazione (coronata da successo) di trasformare contadini e sottoproletari in piccoli borghesi, e soprattutto la sua smania, per così dire cosmica, di attuare fino in fondo lo "Sviluppo": produrre e consumare.
L'identikit di questo volto ancora bianco del nuovo Potere attribuisce vagamente ad esso dei tratti 'moderati', dovuti alla tolleranza e a una ideologia edonistica perfettamente autosufficiente; ma anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi: la tolleranza è infatti falsa, perché in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere tanto normale e conformista come il consumatore; e quanto all'edonismo, esso nasconde evidentemente una decisione a preordinare tutto con una spietatezza che la storia non ha mai conosciuto. Dunque questo nuovo Potere [...] è in realtà - se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia - una forma 'totale' di fascismo. Ma questo Potere ha anche "omologato" culturalmente l' Italia: si tratta dunque di un' omologazione repressiva, pur se ottenuta attraverso l'imposizione dell'edonismo e della joie de vivre.
[...]
il nuovo fascismo non distingue più: non è umanisticamente retorico, è americanamrente pragmatico. Il suo fine è la riorganizzazione e l'omologazione brutalmente totalitaria del mondo."

(P:P.Pasolini, Scritti corsari, 24 giugno 1974, da "Il Potere senza volto" )