domenica 24 aprile 2011

L' essere e il nulla - Libertà e responsabilità

Immagino che l' esposizione del racconto della mia vita, dei moventi e dei percorsi, più o meno consapevoli, che l' hanno determinata ad essere quel che è, ad un improbabile  sinceramente curioso interlocutore risulterebbe comunque incomprensibile, nonostante ogni mia profusione di sforzi dialettici.
Ciò che non si capisce, che non trova logica collocazione nella nostra coscienza e determina la nostra identità, non può mai venire trasmesso.
Non me ne lamento più: il vivere è, da qualsiasi parte lo si consideri, esperienza assurda, ma ciò non significa ancora nulla.
Il solo preambolo possibile è che ogni essere umano è condannato ad essere libero, sostiene sulle proprie fragili spalle l' intero peso del mondo e non esiste alcuna alternativa ad assumersene, interamente, la responsabilità.
Io ricordo d' aver detto ai miei genitori non una sola volta, da adolescente, durante quelle discussioni rabbiose e dolorose, ma imprescindibili alla conquista dell' età adulta, "Non vi ho chiesto io di mettermi al mondo", e d' averlo sentito dire più tardi da altri ragazzi ad altri genitori.
Invece, ed in realtà, la fatticità stessa dell' essere nati , anche quando malediciamo la vita, ci obbliga a realizzare la nostra presenza nel mondo, assumendocene tutta la responsabilità cui la libertà ci porta.

" Nondimeno il tipo di questa responsabilità è assai particolare. Mi si risponderà effettivamente che 'io non ho domandato di nascere', ma è un modo ingenuo di mettere l' accento sulla nostra fatticità. Io sono, in realtà, responsabile di tutto, tranne che della mia responsabilità stessa, perché non sono il fondamento del mio essere. Tutto accade dunque come se fossi obbligato ad essere responsabile. Sono 'abbandonato' nel mondo, non nel senso in cui sarei abbandonato e passivo in un universo ostile, come l' asse che fluttua sulle onde, ma invece, nel senso in cui mi trovo improvvisamente solo e senza aiuto, impegnato in un mondo in cui porto completamente la responsabilità, senza potere, per quanto io faccia, strapparmi, fosse anche solo per un momento, a questa responsabilità, perché il desiderio stesso di fuggire la responsabilità mi fa responsabile; farmi passivo nel mondo, rifiutarmi di agire sulle cose e sugli altri, vuole ancora dire scegliermi, ed il suicidio è un modo fra i tanti di essere-nel-mondo. Ciononostante ritrovo una responsabilità assoluta, per il fatto che la mia fatticità, cioè in questo caso il fatto della mia nascita, è direttamente inafferrabile ed anche inconcepibile, perché questo fatto della mia nascita non mi appare mai allo stato bruto, ma sempre attraverso una ricostruzione proiettiva del mio per-sé: mi vergogno di essere nato, o me ne meraviglio, o mi rallegro, o, tentando di togliermi la vita, affermo che vivo e assumo questa vita come cattiva. Così, in un certo senso, 'scelgo' di essere nato.Questa stessa scelta è integralmente affetta di fatticità, perché non posso non scegliermi; ma questa fatticità, a sua volta, non apparirà che in quanto l' assumo verso i miei fini. Così la fatticità è ovunque, ma inafferrabile; no incontro mai altro che la mia responsabilità, per questo non posso domandare 'perché sono nato?', maledire il giorno della mia nascita o dichiarare che non ho chiesto di nascere, perché questi diversi atteggiamenti verso la mia nascita, cioé verso il 'fatto' che realizzo una presenza nel mondo non sono altro che modi di assumere in piena responsabilità questa nascita e farla 'mia': qui ancora non incontro che me e i miei progetti, in modo che finalmente il mio abbandono, cioé la mia fatticità, consiste semplicemente nel fatto che sono condannato ad essere integralmente responsabile di me stesso. Sono l' essere che 'è' come essere il cui essere si problematizza nel suo essere. E questo 'è' del mio essere è come presente ed inafferrabile.
A queste condizioni, poiché ogni avvenimento del mondo non può rivelarmisi che come 'occasione' (occasione 'messa a profitto', 'mancata', 'trascurata' ecc.), o meglio ancora, poiché tutto ciò che ci accade può essere considerato come una possibilità, cioè non può apparirci che come mezzo di realizzare questo essere che si problematizza nel nostro essere, e poiché gli altri come trascendenze-trascese, non sono, anch' essi, che 'occasioni' e 'possibilità', la responsabilità del per-sé  si estende sul mondo intero come mondo popolato. E' così precisamente che il per-sé si coglie nell' angoscia, cioè come un essere che non è fondamento né del suo essere, né dell' essere degli altri, né degli in-sé che formano il mondo, ma che è costretto a decidere del senso dell' essere, in lui e ovunque al di fuori di lui. Chi realizza nell' angoscia la sua condizione di 'essere' gettato in una responsabilità che si ritorce persino sul proprio abbandono, non ha più né rimorsi, né rimpianti, né scuse: non è più che una libertà che si scopre da sola ed il cui essere risiede in questa scoperta stessa. Ma, [...] la maggior parte del tempo fuggiamo l' angoscia nella malafede."

(J.P.Sartre -l' Essere e il nulla)


3 commenti:

  1. Ho la vivida visione di lui, Sartre, in piazza san marco. Lui, quasi cieco, sottobraccio alla sua grande compagna, che lo guida sotto le procuratie. Ho registrato nell'animo quel grande vecchio, quasi un Lorenz per me semplice implume, chè ancora ricordo lui assieme a lei: un grande conforto vederlo sorretto, anche affettivamente da una donna Grande e forse più di lui. Ho ancora nella memoria questa vivida apparizione e una Sehnsucht struggente mi fa desiderare l'improbabile conforto necessario, la consolazione di condividere la sua fortuna...

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  2. "L'uomo è una passione inutile": e, con quasi certezza, aveva completamente ragione. Ci vuole del fegato ad amare, vivere e sorridere lo stesso. Ecco perché siamo, nel contempo, la feccia e la meraviglia dell' universo. Buona festa della Liberazione, Giorgio.

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  3. Grazie per l'augurio della Liberazione. Ma non credo alla Festa, Morena

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