venerdì 1 aprile 2011

Folle - masse - media e politica. -2-

(segue da post -1- pubblicato in data 30/03/2011)

René Magritte - La grande guerra
Come accennato nel precedente post a tema, "La psycologie des foules" di Gustave Le Bon pur con i molti limiti scientifici e l' indubbia influenza del carattere reazionario delle idee dell' autore, fu uno dei testi sacri dello studio della psicologia delle masse e contiene intuizioni di grande lucidità e rilievo, alcune delle quali validissime ancor oggi.
Il modo in cui reagiscono le masse (per loro natura impulsive e mutevoli) dipende dalla semplicità delle idee propagandate e dall' esagerazione con cui vengono proposte, meglio se facendo leva sui sentimenti.

"E' essenziale presentare le cose in blocco, senza mai indicarne la genesi".
Alle folle piacciono gli effetti mirabolanti, piace la tragedia, piace la morbosità: un grande delitto, una grande impresa, una grande speranza, una grande vittoria. Sanno potenzialmente essere criminali o sante. La folla soffre di psicosi da grandeur e, sull' onda di una forte impressione, può fare qualsiasi cosa, arrivando anche agli estremi sacrifici o all' eroismo.
E' "il capo", che la conduce oppure anche che la rende prona ed indifferente. Comunque sia, la folla si riconosce sempre in un capo, fisico od ideale. Ma perché lo fa?
Secondo l' analisi della psicologia di massa, questo può essere osservato in modo paradigmatico nei momenti di crisi e tensione della storia, quando irresolutezza ed incertezza inducono al bisogno di trovare vie d' uscita.

Naturalmente, perché le folle possano sperare nella soluzione delle loro ansie ed incertezze, bisogna saper convogliare l' odio e la frustrazione in qualche direzione; bisogna, cioè, inventare il nemico simbolico.
Solo così il meccanismo può funzionare: contrapponendo il Bene al Male, la civiltà alla barbarie, una propaganda all' altra.

"Creare la fede -si tratti di fede religiosa, politica o sociale, di fede in un' opera, in una persona, in un' idea- ecco soprattutto il compito dei grandi capi [...] Dare all' uomo una fede significa decuplicare la sua forza. I grandi avvenimenti della storia furono spesso opera di oscuri credenti che nient' altro possedevano oltre la fede."


Le comunicazioni di massa del Novecento si sono basate interamente su presupposti di semplificazione, spettacolarizzazione e personalizzazione, sia nei sistemi totalitari, sia in quelli democratici.
Nella propaganda fascista e nazista, il risentimento sociale che la Grande Guerra aveva  prodotto negli ex-combattenti e nei ceti medi impauriti dall' inflazione e dall' indebolimento dei tradizionali valori, venne artatamente sfruttato per ottenere la nazionalizzazione delle masse.
I nuovi attori politici, borghesi o "plebei", erano assi della guerra aerea, polemisti, scrittori (Hermann Goering, D' Annunzio) e, più tardi, i  "caporali", come Mussolini ed Hitler. Con essi nasce l' uso simbolico della violenza.
La classica interpretazione data da Karl Mannheim dell' uso dei simbolismi politici, rimane molto convincente.
Nel definire il periodo di crisi europea tra le due guerre egli parla di "insicurezza non organizzata".

"E' lo stadio della generale sperimentazione psicologica ed emotiva, e del declino della nostra fiducia nelle istituzioni, nei costumi, nelle tradizioni [...]. In questa generale sperimentazione l' individuo incapace di riorganizzarsi può perire, ma per il complesso sociale esso significa la possibilità di una scelta di nuovi modelli di condotta e di nuovi tipi rappresentativi dominanti. [...] Il clima di insicurezza generale porta le masse a fissarsi su dei simboli, che hanno la funzione di sostituire soggetti e attività reali, al punto che diventa possibile "indurre la gente a lottare per fini simbolici come se fossero primari", così che invece di burro essa desideri il prestigio della nazione."


Hitler e Mussolini, pur se il consolidamento politico del loro successo ebbe poi sorti diverse, utilizzarono entrambi le campagne terroristiche per incutere paura ed allarmismo nella popolazione e far sì che essa richiedesse legge ed ordine ai suoi stessi capi, che, in tal modo, potevano rivestire il ruolo dei salvatori.
La Storia ha poi dimostrato, però, che il nazismo ha potuto contare su un largo consenso di massa soltanto al prezzo di scatenare il peggiore e più sanguinoso conflitto che si sia mai visto in Europa, e che un regime totalitaristico basato soltanto su minacce esterne simboliche e campagne contro i nemici interni, dura relativamente poco tempo.
Ma con lo stalinismo, durato oltre settant' anni, qualcosa, nello sfruttamento propagandistico delle comunicazioni di massa, cambiò: avvenne l' introduzione su larga scala del "grande fratello" e dell' inganno politico attraverso l' uso della doppia verità.

Se nel fascismo e nel nazismo esisteva un certo irrazionale -diciamo- estetismo nello strumento della violenza politica, nello stalinismo, al contrario, si realizza pienamente ciò che la psicologia collettiva già aveva enunciato, e cioè che nelle comunicazioni di massa risultano spesso molto più convincenti per persuadere le folle la standardizzazione, la volgarità e la banalità.
La "doppia verità" è quella tecnica che consiste nel diversificare ciò che può essere detto alle masse e ciò che invece può essere comunicato agli iniziati che abbiano dato prova di accettare integralmente la concezione machiavellica della storia e di aderirvi in pieno.
L' uso stalinista  della doppia verità ha avuto, paradossalmente, la più ampia efficacia sulle masse esterne all' URSS e sugli intellettuali occidentali. Quanti intellettuali democratici in visita all' URSS dagli anni Trenta ai Settanta non sospettavano minimamente il degrado totalitario effettivo che vigeva in quel sistema?
La finzione letteraria celeberrima di Orwell, con il suo 1984, spiega perfettamente quanto sia letale non rendersi conto di quali terribili manipolazioni possano essere rese possibili dalla propaganda, tramite le comunicazioni di massa.

(elaborazioni da scritti di Carlo Marletti)



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Ancor oggi, ancora noi, cittadini liberi di liberi Stati, non dobbiamo, mai e poi mai, perdere la memoria

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(segue)



2 commenti:

  1. Non avendo molto da aggiungere, volevo solo farti sapere che è la seconda volta che leggo con grande piacere queste tue note sulla psicologia delle masse. Grazie.

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  2. Grazie a te per l' attenzione, piuttosto...

    Nei prossimi post il discorso si avvicinerà ai giorni nostri: comunicazioni di massa via televisione, e poi Internet.

    Un caro saluto. Morena

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