venerdì 15 aprile 2011

Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice

Sono fortemente convinta che non ci sia nulla di più nobilitante, nella società attuale, dell' "impopolarità e dell' invisibilità" e che il nocciolo autentico della libertà di un individuo possa essere preservato soltanto nella misura in cui egli sappia provare la più completa indifferenza verso la pubblicizzazione sia di sé stesso, sia di ciò che pubblico lo è gia ed  in sovrabbondanza viene detto, ri-detto, stra-detto, in una escalation -un po' nevrotica, ossessivo compulsiva, ma di genesi automatica, cioè indotta- di tentativi di dirlo di più e meglio.
Per quanto esibizione -talvolta- di sagacia, buon quoziente intellettivo, discreto acculturamento, abilità dialettica, raramente riesco a scorgere, in ciò che leggo, aderenza con un generico principio di umanità compartecipata, e, soprattutto, tesa ad un principio di utilità reale, che giunga a produrre effetti concreti su chi ha estremo bisogno -come i derelitti ed i diseredati- d' aiuto.
A me, questo narcisismo imperante fa un po' schifo.

Scrittori, giornalisti, blogger e chiunque rivolga le proprie considerazioni ad un pubblico, più o meno identificabile e più o meno vasto, quasi sempre vogliono o devono anteporre al loro messaggio un' esplicita od implicita asserzione di appartenenza, naturalmente dai risvolti  sempre velleitari.  
"Sono di sinistra, sono di destra, sono di centro, sono ateo, sono agnostico, sono credente, sono uomo, sono donna, faccio questo mestiere, ho famiglia, leggo questo, non leggo quello, ho un figlio così, sono infelice, sono povero, sono precario, nella mia casetta in campagna, dr, dr.ssa, un mio scritto, il mio amico (sempre accreditante) ..."
Ciò li rende, che piaccia loro o no, delle marionette. Schiavi di cliché di cui non sospettano la pervasività e, soprattutto -cosa che li caratterizza in modo tragicomico- da cui si ritengono immuni.
Un sistema, un altro sistema, inglobati insieme nel più vasto Sistema concepito dalla stessa logica. E la logica è:
-Parla, parla, che ti passa... parla pure, sfogati, urla, impreca, inveisci, illuditi di punzecchiare con il fioretto spuntato della tua penna, con quei polpastrellini esili che non conoscono i calli del carpentiere e le ustioni del minatore..., sfinisciti di parole, amoreggia con esse, illuditi pure di stordire d' effetti e suoni le storture del tuo tempo, tanto lo sappiamo bene che  "la politica e il fato dell'umanità vengono forgiati da uomini privi di ideali e grandezza. Gli uomini che hanno dentro di sé la grandezza non entrano in politica."
Né vi si infiammano troppo -aggiungerei io-, quand' è palese che essa non ha a cuore il bene di chi dovrebbe servire.

Meno male che è esistito un uomo come Albert Camus, che ha avuto il fegato di estraniarsi da qualsiasi etichetta e da qualsiasi tentativo di strumentalizzazione, e meno male che la gragnuola di accuse dalle barricate di sinistra e da quelle di destra non l' hanno placato, ma soltanto amareggiato.

D' altronde è questa la predestinazione dello "straniero", e forse pure, in nome del diritto all' utopia, la sua missione nel mondo.


" [...]
Ogni generazione, senza dubbio, si crede destinata a rifare il mondo. La mia sa che non lo rifarà. Il suo compito è forse più grande: consiste nell’impedire che il mondo si distrugga. Erede di una storia corrotta in cui si fondono le rivoluzioni fallite e le tecniche impazzite, la morte degli dei e le ideologie portate al parossismo, in cui mediocri poteri, privi ormai di ogni forza di convincimento, sono in grado oggi di distruggere tutto, in cui l’intelligenza si è prostituita fino a farsi serva dell’odio e dell’oppressione, questa generazione ha dovuto restaurare, per se stessa e per gli altri, fondandosi sulle solo negazioni, un po’ di ciò che fa la dignità di vivere e di morire. Davanti ad un mondo minacciato di disintegrazione, sul quale i nostri grandi inquisitori rischiano di stabilire per sempre il dominio della morte, la nostra generazione sa bene che dovrebbe, in una corsa pazza contro il tempo, restaurare fra le nazioni una pace che non sia quella della servitù, riconciliare di nuovo lavoro e cultura e ricreare con tutti gli uomini un’arca di alleanza. Non è certo che essa possa mai portare a buon fine questo compito immenso ma è certo che, in tutto il mondo, è già impegnata nella sua doppia scommessa di verità e di libertà e che, all’occasione, saprà morire senza odio. Per questo merita quindi di essere salutata e incoraggiata dovunque si trovi e soprattutto là dove si sacrifica. È su di essa, comunque, che, certo del vostro assenso profondo, vorrei far ricadere l’onore che mi avete fatto.

Nello stesso tempo, dopo aver proclamato la nobiltà del mestiere di scrivere, avrei ricollocato lo scrittore al suo vero posto, non godendo lui di altri titoli all’infuori di quelli che divide con i suoi compagni di lotta, vulnerabile ma ostinato, ingiusto e appassionato di giustizia, costruttore della sua opera senza vergogna né orgoglio al cospetto di tutti, diviso sempre fra il dolore e la bellezza votato infine a trarre dalla sua duplice esistenza le creazioni che ostinatamente tenta di edificare in mezzo al moto distruttore della storia. Chi, dopo tutto ciò, potrebbe attendere da lui soluzioni bell’e fatte e belle morali? La verità è misteriosa, sfuggente, sempre da conquistare. La libertà è pericolosa, dura da vivere quanto esaltante. Dobbiamo marciare verso questi due obiettivi, con fatica ma decisi, ben consci dei nostri errori in un così lungo cammino. Quale scrittore dunque oserebbe, in buona coscienza, farsi predicatore di virtù? Quanto a me devo dire una volta di più che non sono niente di tutto questo. non ho mai potuto rinunciare alla luce, alla felicità di esistere, alla vita libera in cui sono cresciuto. Ma benché questa nostalgia spieghi molti dei miei errori e delle mie colpe, essa mi ha aiutato senza dubbio a comprendere meglio il mio mestiere, mi aiuta ancor oggi a tenermi, ciecamente, vicino a tutti quegli uomini silenziosi che non sopportano nel mondo una vita che per loro è fatta soltanto del ricordo o del ritorno di brevi e libere gioie.
[...]"

(Albert Camus - Discorso di accettazione del premio Nobel - 10 dicembre 1957)

 
 

9 commenti:

  1. l'atenticità e l'originalità dovrebbe essere la cifra più alta dell'esistenza umana nella sua tappa evolutiva. Non può prescindere dalla visibilità, per stimolare stimoli e percorsi nuovi. Tutto ciò che pensiamo ci deriva da un patrimonio culturale (che è stato reso visibile anche dalla sua circolazione/pubblicazione nel nostro tempo). Anche la politica non può prescindere dalla visibilità. Un Marx, un Piero Gobetti chi sarebbero senza la pubblicazione delle loro intelligenze?

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  2. In genere la grandezza di un pensiero viene riconosciuta "dopo" o, in caso contrario, corre ampiamente il rischio di strumentalizzazione da parte delle bramosie del potere. Le dottrine marxiste (il più grande sogno di giustizia sociale mai concepito)hanno costituito il pretesto per dar vita anche agli orrori di certo nazional-socialismo, come il Novecento ha, purtroppo, dolorosamente testimoniato, così come il liberalismo ha, d' altro canto, acutizzato la povertà.
    La mia considerazione, pertanto, non riguarda il merito delle idee (le idee si confrontano e si discutono), ma la possibilità, in un sistema come quello attuale, di preservarle chiare e vergini, senza gli infingimenti ed i compromessi cui la legge della "visibilità" le piega.
    In una società prettamente narcisista, quale la nostra, s' è perso totalmente il senso della funzione dell' intellettuale. "Personalmente non potrei vivere senza la mia arte, ma non l’ho mai posta al di sopra di tutto: se mi è necessaria, è invece perché non si estranea da nessuno e mi permette di vivere come sono al livello di tutti. L’arte non è ai miei occhi gioia solitaria: è invece un mezzo per commuovere il maggior numero di uomini offrendo loro un’immagine privilegiata delle sofferenze e delle gioie di tutti. L’arte obbliga dunque l’artista a non isolarsi e lo sottomette alla verità più umile e più universale. E spesso chi ha scelto il suo destino di artista perché si sentiva diverso dagli altri si accorge ben presto che potrà alimentare la sua arte e questo suo esser diverso solo confessando la sua somiglianza con tutti: l’artista si forma in questo rapporto perpetuo fra lui e gli altri, a mezza strada fra la bellezza di cui non può fare a meno e la comunità dalla quale non si può staccare. È per questa ragione che i veri artisti non disprezzano nulla e si sforzano di comprendere invece di giudicare: e se essi hanno un partito da prendere in questo mondo, non può essere altro che quello di una società in cui, secondo il gran motto di Nietzsche, non regnerà più il giudice, ma il creatore, sia esso lavoratore o intellettuale.
    La missione dello scrittore è fatta ad un tempo di difficili doveri; per definizione, non può mettersi oggi al servizio di coloro che fanno la storia: è al servizio di quelli che la subiscono": afferma Camus. Ecco "non può mettersi al servizio di coloro che fanno la storia", ma, semmai, di quelli che la subiscono.
    Cinquant' anni dopo, mi chiedo quanti, tra gli scrittori ed intellettuali, credano in questa lezione e quanti possano in piena sincerità affermare di non servire coloro che stanno facendo la storia, bramando e sbavando, piuttosto, per ottenere e mantenere il loro miserabile posticino al sole.

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  3. mi è sempre difficile controbattere ai tuoi scritti. Perchè da una parte concordo e dall'altra rimango perplesso. Così si innesta il dialogo col mio fratello musicista compositore. Sento in lui come te una certa dichiarazione di definirsi artista, di affermare una necessità - che dovrebbe essere di ciascun uomo - di esprimersi in forma artistica senza mediazioni. Lui ha scelto la musica, la musica contemporanea. Una sorta di idioletto, perchè parlata - in questo caso - ascoltata da orecchie molto raffinate, che hanno esercitato un fine ascolto di tutta la musica. qual è il problema? E' la torre di Babele, appunto. Il non parlarsi se non in modo autoreferenziale. Le nicchie dei sapienti, degli udienti, degli sperimentatori... degli eletti. Mentre il popolo, la gente, la massa ingoia "solo canzonette". Questo per estremizzare. Ma in tutti i campi è così. E penso che dovremmo uscire perchè altrimenti la frustrazione e l'isolamento è e sarà la conseguenza.

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  4. La perplessità, in un dialogo, è sempre, secondo me, un ottimo segnale. :-)
    Probabilmente non ho, allora, la capacità di spiegare il mio pensiero, giacché ciò che ho cercato di affermare va in direzione totalmente contraria all' autoreferenzialità, anzi, parte da una sua denuncia. L' intellettuale, lo scrittore, il filosofo, devono dare voce ai soccombenti della storia, non già a sé stessi.
    Se non ti fa morir di noia, magari rileggi.

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  5. Seguiamo due ragionamenti diversi non in contraddizione. Prendiamo la musica. Sai la mia posizione. La mia tesi di laurea: free jazz ed emancipazione nera. Luigi Nono e la fabbrica illuminata, Intolleranza: contro le ingiustizie. Ma il linguaggio, la comunicazione è raffinata, rivolta a pochi, essoterica e non esoterica per dirla con gli antichi greci. Qui è la querelle con mio fratello. Lui fa musica che parla dell'oggi, arte, ma per orecchie troppo raffinate. Se comunichiamo a pochi, allora l'arte ha perso la sua funzione di denuncia. Si chiude in un compiacimento autoreferenziale. Come dici tu i soccombenti della storia sono il 99% della popolazione del pianeta. Se non li raggiungiamo con l'arte, ma con le religioni, con l'inganni degli 'ismi è il fallimento. Ciò che serve non è l'arte, la sovrastruttura, ma la politica delle buone pratiche che ad esempio in america latina è iniziata da un po' e lì veramente ci son stati grandi cambiamenti.... Come vedi il discorso si allarga

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  6. E' un discorso molto pregnante questo tuo, tuttavia il termine artista mi pare troppo ampio. Io penso che pittori, scultori e musicisti in genere si accontentino di cavare faticosamente dal Creato qualche ulteriore goccia di bellezza (non banalmente intesa). Le fantasie profetiche di redenzione umana appartengono prevalentemente a quella categoria che opera con il linguaggio: poeti, filosofi, romanzieri. Di Camus c'è molto da ammirare, però penso che il suo intelletto fosse inferiore all'enormità del compito. Con ciò non lo sminuisco: penso che qualunque intelletto sia inferiore all'enormità del compito, e che non si possa ottenere altro alla fine, che la posa ammirevole, cioè bella, speciale proprio perché impossibile da pretendersi dalla generalità.
    Sarei poi più indulgente con il narcisismo: la sopravvivenza psichica in una società intrisa di sollecitazioni mimetiche come la nostra non è cosa tanto facile, ed un autentico (cioè che non simula per dispetto) narcisista per lo meno è uno che sa occuparsi delle proprie ferite segrete senza divenire uno psicopatico che si compensa infliggendo ferite a coloro che lo circondano. Insomma "primum non nocere". Buona domenica Morena :-)

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  7. @Elio
    Sì, effettivamente è Camus stesso ad adottare il termine "artista" in un' accezione estremamente ampia, così come è altrettanto esatto osservare che egli dall' imperfezione umana (mito di Sisifo)non si ritiene esente. Ma anche soltanto scegliere la direzione da prendere, avviarsi verso la cima e decidere quale sia la più ambita, la più degna dello sforzo, è grandezza.

    Interessantissima la tua interpretazione del narcisismo: Elio, tu hai il talento d' estrarre saggezza occulta da ciò che il giudizio istintuale suggerisce di getto.

    Buona domenica, caro. :-)

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  8. mmm... io preferisco immaginare un Sisifo che a un certo punto (sempre troppo tardi), dopo l'ennesima rotolata a fondovalle del masso, lo fissa un attimo tra lo schifato e il distaccato, lo lascia là seppellito sotto una scatarrata polverosa, e va su a raccontarne quattro, con i polpastrelli celati dentro pugni nodosi, a Lor Signori in cima al monte delle Anime Belle. Che la bastante sufficienza di tirare la propria anonima carretta è un pregio, ma stare a spingere massi e spaccarsi schiene per capriccio di quelli che sopra hanno come principale passatempo gozzovigliare ed escogitare pene a nocumento di chi sta sotto, è sfregio da avere in spregio.

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    1. Ma cavaliere - romantico ed estremo difensore degli ideali -, demordere non è possibile a chi rispetta la propria anima. La cima continuerà ad attrarre Sisifo, nonostante tutto, e per chi non ha le sue colpe da scontare ma paga l'ingiusta condanna di stare in basso comunque, non c'è affatto alcuna scelta, se non quella di spingere, in estremo tentativo di non perdere anche la dignità.

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