domenica 20 marzo 2011

Impossibile equilibrismo tra le umane follie

Come una consistente parte della mia generazione (quella che non ha vissuto in modo militante il '68, ma ne ha toccato con mano l' immediata contigua promanazione come schiuma effervescente di una gigantesca onda oceanica), ho subìto, ancor molto giovane, la fascinazione delle filosofie di pensiero orientali.
In senso coreografico, entrare nella mia camera di ragazza, in un ben determinato periodo, equivaleva all' immersione in un' atmosfera un po' nebbiosa profumata d' incenso, essenze di patchouli e fragranze speziate, 



Ravi Shankar e flauti indiani,  poesie di Tagore, Jubrān Khalīl Jubrān con il suo Profeta -così vicino allo Zarathustra nietzschiano, ed alla  sua prospettiva di un percorso  "oltreumano" e purtuttavia umanissimo -, colori sgargianti, propositi di pace ed interiore serenità. Per amare meglio, per amare di più.

"Mille sentieri vi sono non ancora percorsi, mille salvezze e isole nascoste della vita. Inesaurito e non scoperto è ancora l'uomo e la terra dell'uomo."

Non è una colpa, l' ingenuità, quando sei giovane: è grazie ad essa che si trovano forza e coraggio di crescere, affrontando la metamorfosi.
Della verità, della crudeltà vera del Potere, della sua disinvolta maestria nell' aggressione, dell' assoluto imperativo del denaro, ancora non avevo ben chiara cognizione: nell' anima del giovane non c'è alcun posto per le disillusioni o per il sospetto se quella  è affollata di sogni.

I buddhisti -quelli che non calpestano le formiche- indicavano la via alla felicità nell' assenza di turbamento. 
Nella perfetta atarassia -essi promettono- si potrà raggiungere il Nirvana.
Oggi è ridicolo pensarci: soltanto un dio può rimanere indifferente alla tragicità della nostra condizione, agli scossoni sconvolgenti di un mondo che pare prossimo alla fine.
Eppure, è sempre l' utopia di felicità che muove i nostri passi, anche se al bivio della nostra esistenza adulta è la strada del baratro che abbiamo imboccato. Traballando, incespicando, andando in cerchio senza accorgerci di ricalpestare mille volte le nostre stesse precedenti tracce, ci consumiamo le suole per raggiungerla.
Ed essa è un' affascinante nebulosa, opaca, con qualche episodico scintillio, riverbero di sogno morente, indebolito ed asfittico, ma che costituisce pur sempre una sorta di sgangherata destinazione.
Bene: continuiamo a rincorrerla - sapendo nel nostro intimo di non averne più neppure pieno diritto-, ché farlo è già propulsione all esistere.
Taoismo e buddhismo ci rivelano le insidie delle passioni e di ogni altro veleno dell' anima -ira, illusione, desiderio-, per trovare, nella meditazione e nello stato contemplativo, quella serenità che ci prepari alla forma di felicità più alta possibile.
Si vive al meglio, dunque, in uno stato di quasi non-vita? Perché è questo che all' Occidentale sembra: rinunciare alle passione è un po' morire. Noi non possiamo.

*

Ippolito, cacciatore di Trezene, morì per dispetto di Afrodite. Diana, la vergine dèa della caccia, simbolo dell' infanzia e del legame ancora inconsapevole con la Natura e la poesia -che, sola, consente il mantenimento con l' aurorale legame dell' essere-, resuscitatolo, lo portò in Italia, sui Monti Albani (l'Esperia) e lo adibì al suo culto, chiamandolo Virbio.
L' occidente, per gli antichi, era il paese dei morti...
Virbio sente però che la sua solitudine estatica non è il destino dell' uomo. L' uomo vive nel relativo, non è suo appannaggio l' assoluto.

"Diana: - C' è un divino sapore nel sangue versato. Quante volte ti ho visto rovesciare il capriolo o la lupa, e tagliargli la gola e tuffarci le mani. Mi piacevi per questo. Ma l' altro sangue, il sangue vostro, quel che vi gonfia le vene e accende gli occhi, non lo conosco così bene. So che è per voi vita e destino.
Virbio: - Sentirlo inquieto e smarrito quest' oggi, mi dà la prova che sono vivo. Né il vigore delle piante né la luce del lago mi bastano. Queste cose son come le nuvole, erranti eterne del mattino e della sera, guardiane degli orizzonti, le figure dell' Ade. Ora qui, in questa terra dei morti, anche le belve mi dileguano tra mano come nubi. La colpa è mia, credo. Ma ho bisogno di stringere a me un sangue caldo e fraterno. Ho bisogno di avere una voce e un destino. O selvaggia, concedimi questo.
Diana: - Pensaci bene, Virbio-Ippolito. Tu sei stato felice.
Virbio: -Non importa, signora. Troppe volte mi sono specchiato nel lago. Chiedo di vivere, non di essere felice."
(C. Pavese, Dialoghi con Leucò)


*
 
Cerco l' equilibrio, tra le opposte folli idee.
Pensiero, ma non  esercizio intellettualistico;
Passione, ma non schiavitù dei sensi;
Contemplazione, ma non torpore di semi-vita;
Libertà, ma non solitudine ed esilio.
... e Amicizia, poi, anche se io non so più se sia...
 
 

4 commenti:

  1. l'uomo vive nel relativo...
    il relativo può considerarsi: illusione?
    l'uomo deve illudersi per poter vivere felicemente, altrimenti la sua vita è una condanna.

    anche io mi sono rifugiata in pensieri e concetti orientali...ma il desiderio è riuscito a manteresi vivo, non ostante.

    Buona domenica, mia cara :-)
    C.

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  2. Cara Carla,
    potrei risponderti sul relativo se... conoscessi l' assoluto, ma ciascuno di noi consacra assoluto ciò che vuole, ciò che può, ciò che la sua natura gli impone: Arte per l' artista, Armonia per il musico, Dio per il mistico, l' Uomo per l'uomo.
    Quanto all' illusione, io non ho dubbi che essa sia nociva, come lo è qualsiasi altra forma di menzogna.
    Se pur nostalgico di felicità, l' Uomo non può prescindere ugualmente dalla ricerca di verità, e la prima verità è il suo destino.
    Buon preludio di primavera.

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  3. l'illusione non è menzogna.
    l'illusione è un bisogno
    quasi primario.

    l'illusione porta a comporre i migliori spartiti.

    c.

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  4. Ho usato il termine "menzogna" in senso più lato di quello che viene attribuito nel linguaggio comune: non è un giudizio di merito che m' interessava dare.
    "Menzogna", quindi, come contrario -o come distanza- di verità (se così non fosse non potremmo parlare affatto d'illusione), che, nel caso degli umani e relativamente a ciò che cercavo di esprimere nel post, corrisponde ad una vita a termine senza assolute e definitive risposte.
    Naturalmente l' illusione costituisce e cerca di rispondere ad un bisogno e alle nostre paure: è la naturale reazione alla nostra sostanziale ignoranza sull' esistenza. Certo, può generare arte e bellezza e darci l' impressione di trascendenza, ma, nel pensiero orientale, il fine ultimo è armonizzarsi serenamente con una non so bene quale energia cosmica.
    Dal canto mio, invece, affermo che sia nociva quando soverchia, sovrapponendosi, la conoscenza di sé stessi, degli altri e dell' oggettiva realtà della vita, riducendo la stessa ad una sostanziale e colossale rappresentazione-finzione: ritorno, insomma, al coraggio d' essere uomini, senza infingimenti.

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