martedì 12 ottobre 2010

L' irresponsabile leggerezza dell' essere e gli amici perduti


Ultima cena (1464-1467, Lovanio Cattedrale)

A lamentarsi di qualcosa o qualcuno, oppure anche genericamente della sorte, ci si guadagna indefettibilmente l' etichetta di essere una tizia che si crogiola nel vittimismo e forse pure anche il sospetto che l' intento sia quello di  ottenere la simpatia altrui, strappando loro quella pseudo-empatia da strapazzo grandemente in uso tra gli umani, che poco coinvolge -in realtà- e poco costa, essendo essa rapidamente metabolizzabile, nella nostra memoria, fino a completa evaporazione nel nulla.

Ma motivi per provare stupefatta amarezza, nel corso di una vita qualunque, non si contano, e se è pur vero che ciascuno di noi è un emerito nessuno, là fuori, nel mondo, esiste una sottesa legittima speranza che, quantomeno per chi dice di amarci, dovremmo sentirci significativi ed importanti, così significativi da essere considerati preziosi ed insostituibili.
Questa speranza sarà pure velleitaria, ma certamente ascrivibile alla cerchia delle fragilità umane e degli umani bisogni che, se non altro, non recano danno od offesa a nessuno, ma rendono la vita degna d' essere condivisa e vissuta.

Eppure, non ci si abitua e non s' impara, per quanto reiterati siano i comportamenti che danno adito all' amarezza e allo sconforto e che dovrebbero servire da lezione.
Non io, almeno. Ogni volta che un amico mi tradisce si smorza in me un poco di luce, un pizzico di energia, esattamente come ogni morte di chi amiamo spegne in noi un soffio di vita.
Mi chiedo se esista qualcuno ancora capace d' amare, quaggiù. Ma credo di no. Non compiutamente. Non come potrebbe essere. Tanto vale metabolizzare anche questo.

...


Ti sono amica come supremo atto di responsabilità e -in via subito dopo subordinata- perché ti amo di vasto e non morboso amore.
Il primo impeto riguarda me, la mia idea di umanità, le speranze di riscatto della specie attraverso lo scambio, i miei Valori assoluti; il secondo attiene a quella imperscrutabile corrispondenza  con il mio sentire che mi pare di indovinare dal tuo modo d'essere e che tu sei tenuto a confortare con la prova, attraverso le tue scelte, le tue parole, i tuoi atti. Perciò ti è vietato, nel modo più tassativo, di mentire sulla tua più segreta indole e natura o di scimmiottare sentimenti  amicali che non reggeranno all' esame dell' evidenza ed all' intelligenza dell' anima.
Pur nella tolleranza di differenze anche macroscopiche nei singoli dettagli, deve esistere perfetta specularità nel precedente paradigma, altrimenti non saremo che semplici, occasionali ed annoiati conoscenti.
Cosa che non voglio, a tutela del mio tempo, delle mie energie, della fiducia nel futuro, da mantenere tersi ed incorrotti.

Ecco perché mi hai trafitta di delusione, mia povera cara: sei totalmente priva di quel senso di responsabilità e della conseguente integrità etica di cui legittimamente l' Amicizia si vanta.
Ma la miseria è tua, perché se è pur vero che il mio cuore sanguina nuovamente per ferite che non conosceranno completa guarigione -e che non sono le sole, come da tempo tu ben sai-, è altrettanto vero che il tuo, al contrario, è arido e freddo come sasso, come cosa che non vive.
[mm]

...



"...Le leggi razziali di Hitler, nel frattempo, modificano lo status degli ebrei e anche Hans non è esente da discriminazioni, sebbene Könradin, per quanto seguace del dittatore tedesco, continui a far di tutto per evitare problemi al suo amico ebreo, con il quale però i rapporti sono ormai irrimediabilmente compromessi a causa dell’ideologia. Le strade dei due ragazzi si separano alfine quando i genitori di Hans decidono di mandare il ragazzo da alcuni zii negli Stati Uniti a New York. Una volta messo in salvo il figlio, i genitori di Hans si suicidano con il gas.



Da quel momento, e per più di trent’anni, Hans non sa più nulla delle vicende di casa propria: studia a Harvard, diventa avvocato sebbene la sua aspirazione fosse diventare un poeta e si costruisce una carriera in America, quando un giorno riceve una lettera dalla Germania: è il suo liceo di Stoccarda, che chiede ai suoi ex alunni ancora in vita un contributo per costruire un monumento in memoria dei loro compagni di scuola che caddero nella Seconda guerra mondiale. Alla lettera è allegata una lista in ordine alfabetico e Hans la scorre, saltando volutamente, tuttavia, la lettera “H”. Quando sta per gettare via la lettera, spinto dalla curiosità, scorre anche la lettera mancante e legge, alla voce Van Hohenfels, Könradin: «Implicato nel complotto per uccidere Hitler. Giustiziato». "

[Da: Wikipedia - L’amico ritrovato (tit. or.: Reunion. Der wiedergefundene Freund, 1971Fred Uhlman]




4 commenti:

  1. E' un disagio....sottile che conosco e riconosco anch'io. A volte penso davvero che non è tanto il nostro sentire quanto cogliere aspetti di una realta' nei suoi molteplici risvolti che fanno a pugni con la coerenza che manca, con una logica che si fa ambigua, in uno sfondo dove 'l'ombra delle cose' sovrasta su ogni sentimento di purezza autentica. E'... un dato di fatto che fa allontanare anche me rendendomi sempre piu' conto come noi tutti si sia piccole oasi in terre di deserto. Bello rileggerti, Morena cara. S.

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  2. Quanto aspiriamo, tutti, a pronunciare quel soggetto plurale, quel "noi", non è vero?
    E, nel "noi", trascenderci e ritrovarci, completamente, senza nulla perdere e nulla togliere. E' il bisogno del noi che ci fa anelare all' Amicizia: probabilmente la più infantile delle nostre aspettative segrete, e la più ancestrale.
    Ma il percorso della crescita pare invece condurci inevitabilmente verso uno solipsismo sconcertante, in cui siamo certi soltanto d' essere ("Penso, dunque sono"), schiavi degli inganni del linguaggio.
    C' è qualcosa di diverso, di più, invece, che la nostra "anima" reclama, e che è giusto pretendere e dare.
    Ben ritrovata, cara S.

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  3. Probabilmente è una mera questione biochimica. La selezione naturale ha determinato, a tentoni, il tasso di variabilità più vantaggioso (o ciecamente opportunistico) per la nostra specie, come per le altre. E dunque per una certa quota di concepimenti, i dadi della ricombinazione decreteranno un maggior bisogno di vicinanza umana, mentre altri respireranno davvero meglio mantenendo una rispettosa distanza. A queste lotterie si agganciano quelle delle incredibili complicazioni legate alle formazioni (e fascinazioni) culturali e tutto l'irripetibile corso della propria esperienza. Le chiavi del perché l'uomo non è più buono, corretto, padrone di sé, nobile, amoroso ecc. - come lo vorremmo - semplicemente non le possediamo, trascendono la nostra comprensione.
    Baci sorelline :-)

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  4. Qualcuno di noi, senz' ombra di dubbio, ha un' indole particolarmente tendente alla riservatezza, che gli fa preferire le proprie stanze interiori all' agorà. Ciò gli può derivare, come tu dici, da vari fattori, naturali o culturali. Le osservazioni antropologiche, però, dimostrano che gli appartenenti alla specie umana abbisognano del gruppo: noi siamo animali sociali.
    Premesso molto sbrigativamente questo, però, nel mio post io parlavo di Amicizia, vale a dire di un rapporto specifico, liberamente scelto, che unisce due persone e che dovrebbe costituire, quando onorato, uno dei maggiori beni, nonché il massimo piacere, da godere nell' esistenza.
    Un sorriso. Morena

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