mercoledì 29 settembre 2010

La monade perplessa

Ficcarsi in un ruolo, un aspetto, una foggia, un carattere; rendersi un sunto, una versione leggibile, comprensibile, abbastanza chiara -quantomeno alle menti meno pigre, più intuitive, vive-; darsi, appartenere, partecipare, condividere: così si dovrebbe fare, se solo vi si riuscisse, per guadagnare un po' di compagnia, di umano calore, di vicinanza.
Ma come si fa a decidere d' essere quella certa qual cosa, senza inficiare tutte le altre, in questa breve parentesi mortale, peraltro unica, e pur in questo  onesto e necessario ateismo.
Non tutti sanno delegare.
Io, per esempio, non ne sono capace.
Non riesco a delegare alla religione la mia consapevolezza dell' Abisso che inghiotte ogni ragione, ed intanto la mia individualità reclama incessantemente la sua quota di significato, di legittimazione.
Un senso.
Uno sfogo.
Un pretesto.
Le domande tendenti a trovare una parvenza di significato, le domande in attesa di risposte, l' attesa di  una conciliazione tra ciò che sono e ciò che dovrei limitarmi ad essere -che mi è consentito essere con gli strumenti umani di cui dispongo-, non mi conducono che all' incontro con il Caos.
Ed il Caos, semplicemente, è.
Onestà intellettuale ed applicazione non portano che a questo.
Ogni istante sia, allora, il sempre, il tutto, il mai.
Nell' istante ogni dolore, ansia, desiderio, proiezione futura siano epurati drasticamente, completamente: dev' essere nudo, dev' essere puro, dev' essere uno, avere il pieno senso, non averne nessuno.


...


Nel periodo della sua permanenza a Berlino, il giovane Dott. Giuliani recò con sé tutta la sua italianità, suo malgrado e molto inconsapevolmente.
Conosciuta in corsia Edel, laureanda in otorinolaringoiatria, la invitò a bere qualcosa, una volta finito il turno, e magari a farsi una pizza insieme.
Edel lo condusse poi nel suo miniappartamento, ove trascorsero la notte.
L' indomani Giuliani la rivide, nel corso del giro pomeridiano delle visite.
L' emozione, pur leggera, aveva qualcosa di ancestrale, che non tentò di sondare, ma che lo fece arrossire un po', procurandogli una sorta di inutile imbarazzo.
Pensò di doverle sfiorare una mano, accennando un sorriso vagamente complice.
Edel lo guardò con occhi indifferenti. Seccata da quel contatto e stupita,  gli chiese poi, senza alcun sarcasmo : "Ma tu, chi sei?" . E ripose la totale attenzione sul suo lavoro.

 ***

lunedì 27 settembre 2010

Noi, le borderline della globalizzazione... Psicopatologia della giornata in un call- center di una splendida cinquantenne improvvisamente disoccupata.



Se c'è un concetto che, a partire da Rousseau, ha impegnato filosofi, psicanalisti, storici ed economisti, permanendo più che mai attuale ai giorni nostri, è quello di "alienazione".
Ricordo che nei miei temi d' Italiano ne facevo un uso incessante e generoso. Negli anni settanta, infatti, essere consapevoli di vivere in un sistema di potere che conduceva l' individuo all' allontanamento da sé, costituiva l' incipit di ogni altra e più specifica analisi politica e sociologica, nonché elemento necessario all'appartenenza al gruppo.
Entrati poi -in qualche ma relativamente semplice modo-, nel mondo del lavoro, il concetto divenne, per la gran parte di noi, amara esperienza. Ciò che poteva consolare il dipendente era la certezza del salario o dello stipendio mensile.

Seneca ci invita a guardare sempre a chi sta peggio di noi, per poter rendere sopportabile una realtà che ci appare difficile ( e non si può certo dargli torto, in linea di massima), ma oggi la situazione del precariato lavorativo rende veramente eroico l' esercizio dello stoicismo.
Ora, molte delle "sicurezze" -anche se  modeste- di allora sono andate perdute.

Crisi.

Non mi riferisco soltanto alla qualità dei lavori precari che il mercato offre in modo indiscriminato a prescindere dalla professionalità, dall' eventuale esperienza maturata, dalle attitudini od abilità, ma anche e soprattutto alla principale rinuncia cui si viene costretti per accedere ad una nuova fonte di reddito/sopravvivenza, quando si è perduta la precedente: il proprio sé e la propria autostima.
Il mercato in crisi deturpa, prima della situazione oggettiva di vita, la dignità umana.


Per esempio, guardiamo l' esperienza di questa donna, 25 anni di anzianità lavorativa e quadro amministrativo di grossa multinazionale energetica, trasferita a 400 Km da casa per esigenze di  ristrutturazione aziendale, posta in un nuovo ufficio tra l' ostracismo cinico di colleghi (o, indifferentemente, colleghe) e superiori e dopo qualche mese di sopportazione ed umiliante resistenza allo strisciante mobbing, costretta -alle prime avvisaglie di incipiente malattia depressiva-, a dimettersi.
La donna, cinquantenne, torna a casa, per cercare una nuova collocazione nel mercato che le consenta di mantenere sé stessa ed il figlio ventiduenne studente universitario.
La psicologia del nuovo disoccupato è piuttosto a rischio: di esperienza frustrante in esperienza frustrante, egli scivola a velocità esponenziale verso gli abissi della disperazione.

Ma si trattava di divagazioni, perché, in verità, io volevo raccontare come funziona uno dei moderni call-center, luogo cui la donna del presente racconto è, suo malgrado, approdata.
Lo dicono "marketing". Lo vorrei raccontare sotto il riflettore psicologico ed emotivo, perché, come ripeteva il vecchio Karl,  "Homo sum, humani nihil a me alienum puto".

***
A Call Center Day
(come da dettagliato resoconto della protagonista)
Contratto Co.Co.Pro di mesi 6/Oggetto "Indagini di mercato"/Compenso di complessivi € 3.600,00 lordi per 19 ore settimali ripartite su sei giorni. (Le ore effettive, a dire il vero, sono 20, essendo tassativo l' ingresso 10 minuti prima dell' inizio del turno, per poter provvedere a: pulizia cuffie, avvio del programma, disposizione del contenuto della propria cartella sulla scrivania).
La "vocedopera" è esclusivamente femminile. La responsabile-sorvegliante si riserva di assegnare postazioni di lavoro diverse da quelle precedentemente occupate secondo una sua logica tendente al controllo delle nuove reclute, che affluiscono continuamente, essendo il turn-over rapidissimo.
Prima di dare inizio alle chiamate (selezionate dal computer), vengono somministrate eventuali raccomandazioni, comunicazioni, rimproveri, nonché rammentato quotidianamente e pubblicamente il bilancio dei risultati individuali e del gruppo, che si misurano in numero di appuntamenti fissati con la potenziale clientela del prodotto promosso. I risultati vengono poi raffrontati con quelli degli altri gruppi operanti in fasce orarie diverse.
Sono previsti incentivi personali (per es. € 100,00 lordi in più se un' operatrice strappa 25 appuntamenti mensili con potenziali acquirenti) e, spesso incentivi al gruppo (esempio 800-1.000 euro da spartirsi tra i componenti del team che ha ottenuto migliori risultati. L' eventuale fallimento di un' operatrice sarà, in questo caso, motivo di disapprovazione generale del gruppo, dato che implicitamente arrecherà danno economico alle colleghe).
Ogni lunedì la responsabile-Kapò declama l' appello, associando al nome delle telefoniste il risultato della settimana precedente, con conseguente strascico di applausi o fischi.
Poi invita ad "un applauso collettivo per caricarci", seguito da "Via! Tutte disponibili!".
In sequenza arrivano le voci nelle cuffie, compare sul monitor il nominativo dell' utente in linea e ciascuna operatrice inizierà la lettura pedissequa del messaggio promozionale predisposto dalla Direzione, a cui è tassativamente vietato apporre modifiche personali attraverso sinonimi, modifica delle frasi (spesso sgrammaticate) o del loro ordine.

Gli interlocutori, invece, che sono liberi, spesso non si limitano a riattaccare ed interrompere l'importuna invadente manfrina -che spesso e talvolta neppure  a torto temono truffaldina-, ma frequentemente sconfinano nell' insulto gratuito, in espressioni a dir poco triviali, in manifestazioni di risentimento generico anche pesanti.
Per poter andare al bagno è necessario mettere in pausa il programma ed avvisare la responsabile (esattamente come nel lavoro a cottimo ed in catena di montaggio).
Le cuffie non riescono ad isolare acusticamente dall' ambiente circostante, per cui mentre un' operatrice recita il messaggio fisso, sente necessariamente anche tutte le altre farlo, ciascuna, però -causa la diversa durata delle varie conversazioni-, da un punto del testo diverso, tanto da non sapere più quasi distinguere, nella grottesca sovrapposizione, la propria dalle altrui voci e riuscendo a malapena ad udire la persona all' altro capo del telefono.
Se la telefonista è stata così "brava" (e non si capisce dove possa entrarci, il talento, dato che DEVE attenersi ad una procedura rigida e predeterminata), da fissare qualche appuntamento con potenziali clienti del prodotto promosso, il suo nome verrà segnato su di una lavagna riscrivibile. Se il suo nome verrà segnato più volte, saranno incoraggiate ovazioni entusiastiche, mentre la responsabile-Kapò approfitterà per redarguire le operatrici inconcludenti ad alta voce, umiliandole pubblicamente: "Tizia, dài, e allora?"
"Esci e ci metti un po' a ricordare chi sei. Snebbi la mente ma non abbastanza da ripristinare lo status precedente all' esperienza demenziale appena conclusa e ti chiedi se l' indomani ce la farai a ripresentarti. Poi lo fai, perché devi pur mangiare."
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lunedì 20 settembre 2010

"io non mi sento italiana, ma per fortuna o purtroppo lo son..."

La politica interna italiana, ormai, mi è imperscrutabile -nel modo più assoluto- e ritengo che si tratti di un sentimento comune ad una moltitudine di elettori.
Naturalmente ho omesso di esercitare il diritto al suffragio universale all' incirca nell' ultimo decennio, e più precisamente quando è apparso chiaro che in realtà non c'è stato prima, non ci sarebbe stato durante, e dubito sempre più che potrà essere presto, un governo sinceramente determinato a risolvere il conflitto di interessi che grava come una montagna sulla società civile.

Ora, questo è IL male del nostro Paese: il male-capo originario della stagione della "seconda Repubblica", da cui si sono ramificati gli altri mali-gregari. Quel male, una volta assimilato e metabolizzato (e chi lo cita più? E' argomento noioso e fuori moda), ha consentito, una volta consolidatosi in un valore negativamente paradigmatico e dalla natura invincibile, ogni altra porcata.

Noi Italiani abbiamo memoria labile, che si risveglia a singhiozzo durante le commemorazioni di Stato, e poi si riassopisce repentinamente. I nostri "risvegli" hanno carattere patologico, come isterico, simili ai sussulti di chi è affetto da epilessia: poi passano, ed il sonno continua. Forse non riusciremo mai a liberarci definitivamente dalla natura servile e qualunquistica che pare costituire la genetica nazionale. Forse non siamo esattamente Nazione, se non durante i campionati di calcio. Ed ora, con questa potente passione secessionista, lo dichiariamo anche senza vergognarcene.
Certo, siamo stati eroi, navigatori ed artisti: ma questi, per definizione e di fatto, sono sempre i meno, non già i più...

Confesso d' essere perplessa, perennemente in bilico tra la timida speranza di aderire, di partecipare, di riconoscermi, di affrattellarmi in qualche anche ristretto consorzio umano, e l' ineluttabile impossibilità di farlo, per questioni di onestà intellettuale. Imbroglioni: mi hanno polverizzato i sogni.

Nonostante loro, in tanti siamo rimasti onesti: è una specie di miracolo.
Sono e rimango, infatti, perfino eccessivamente rispettosa dell' altrui sensibilità, ed eccessivamente preoccupata di provocare disagio od anche soltanto minima sofferenza nelle persone con cui mi rapporto. Non sono ancora riuscita a comprendere appieno per quale ragione esista in me una simile "sovrabbondanza di empatia", perché farne risalire le originarie motivazioni ad un generalizzato amore altruistico non mi reca piena soddisfazione e non mi dà affatto la certezza di averle compiutamente svelate. Di non essere Prometeo sono certa, ma non posso escludere affatto d' esserne stata una vicina parente, allora. Il fatto è che sono italiana.

Vabbé, il prologo lo potevo anche risparmiare, ma nella forma-diario, tutto sommato, esiste una grande libertà di stile: è consentito sia fingere l' esistenza di un interlocutore immaginario (impulso schizofrenico allo sdoppiamento di personalità, ma di indubbia efficacia e soddisfazione), sia la forma didascalica (noiosissima -ne convengo-, ma rivolta a platea immaginaria più ampia e pertanto maggiormente curata nella forma)

Da ragazza era più semplice: ero certa di sapere alcune fondamentali cose. Ciò che in definitiva succede sempre con il proseguire nel percorso della vita, però, è che tante più riflessioni, esperienze e conoscenze si aggiungono al personale bagaglio culturale, tanto più si infittiscono i dubbi su ciò che sia bene o male, giusto od ingiusto, sensato od assurdo. Nella giovinezza aderire entusiasticamente a Principi e ad Idee che si ritengono assoluti ed indiscutibili è più agevole, essendo meno rodata la frequentazione con la complessità umana e della stessa vita.

Poco a poco si scoprono le sfumature, le doppiezze, le contraddizioni dell' animo umano che, quando non rivestano una connotazione completamente negativa, hanno l' effetto di costringere a rivedere ogni precedente certezza e far ricominciare tutto daccapo. E' così che si cresce: ampliando lo spettro della consapevolezza.

Nonostante la mia indole -come quella di tutti-, sia immutabile, - perchè rappresenta ciò che io sono e sarò e perchè è in me connaturata-, io non posso accettare un' idea per semplici e comode ragioni di coerenza o continuità: sposerò l' idea soltanto se la sentirò completamente giusta e nel momento preciso in cui mi coglierà il sospetto che questa abbia perduto gli attributi per cui me n' ero appropriata, sarò costretta a rivederla e forse pure a respingerla.

Inutile sottolineare che una simile circostanza s' è verificata, in questa fase di adulta maturità, molte volte. Mi succede ogni giorno osservando e talvolta subendo la realtà, gestendo i miei rapporti umani, amicali, sentimentali. Mi succede incessantemente nelle mie opinioni politiche, che all' epoca delle passioni giovanili parevano inossidabili, e di certezza abbacinante.
Gli uomini, con la loro attitudine alla meschinità ed al calcolo, con la loro molle predisposizione alla ricerca del vantaggio egoistico, con la loro scarsa memoria, hanno il devastante potere di mortificare ogni bella utopia e di relegarla nell' astrazione, preferendo alla realizzazione delle Idee i loro piccoli particolari vantaggi materialistici e triviali.
Dal mattino alla sera, ciò che era "sacro" viene demonizzato e cristallizzato in una teca di dura riprovazione. Ma le famigerate "ideologie", in realtà, per i più puri di cuore, per i non-dirigenti di apparato, erano atti d' amore per l' Umanità.

La sincerità con me stessa è il solo caposaldo della mia vita, e non esiste la possibilità, in me, che alcun dogma lo faccia retrocedere. Non ho perciò alcun timore ad affermare che se la mia passione politica non ha idealmente cambiato connotazione, e continua a palpitare per i più deboli, i diseredati, gli sfruttati, gli infelici, i poveri, gli oppressi, oggi non c' è uno soltanto dei suoi rappresentanti ufficiali che non mi disgusti per l' impressionante grado di ipocrisia e contraddizioni di cui si macchia.
Tradire la fede altrui e le proprie stesse parole -come fanno oggi i politici-, fare scempio senza scrupoli di principi in rispetto dei quali qualcuno un tempo ha dato anche la vita, permettere che ciò che si dice sia apertamente in contrasto con ciò che poi si intende fare, non è soltanto disdicevole, ma è, anche, irresponsabile e criminale.

Ecco, volevo dire questo ai responsabili tutti della gestione del potere ed ai capi dei partiti italiani: siete indegni e privi di diritto di rappresentanza: gli uni per incapacità; gli altri per attitudine alla tirannia.
E non voterò neppure questa volta.
m.m.

martedì 14 settembre 2010

"Parlo, dunque mi estinguo."



Secondo le più recenti ipotesi antropologiche risulta praticamente certo che la specie umana si estinguerà entro breve, brevissimo tempo, perché essa può essere considerata un' anomalia evolutiva (un incidente di percorso, insomma, fugace ed abbastanza irrilevante nell' immensa logica universale), che, in quanto tale, è  apparsa, si è sviluppata con rapidità eccessiva (200 mila anni non sono nulla) ed in modo difforme ( perché altamente invasivo) da qualsiasi altra specie vivente  e perciò sviluppa, nella sua storia naturale e necessariamente, quel "circuito a retroazione positiva" che Lorenz osservava in ogni evento evolutivo simile e che implica generalmente una altrettanto rapida estinzione.

Mi sovviene che se c'è una cosa di cui si scrive e scrive o si sceneggia, ultimamente, con un certo qual istinto tra il profetico ed il vittimistico -e comunque frutto di sotterranea ma palpabile paura- è proprio di una qualche forma di "Har Megido" polveroso e gelido in cui qualche sparuto cencioso umano sopravvissuto ed un eroicamente ancor fedele cane macilento, trascinano i loro miserabili passi sopra un desertico e venefico suolo devastato dall' ultimo episodio nucleare...'

La teoria, però, davvero estremamente affascinante, pone il linguaggio come elemento connivente/motivante del nostro apocalittico destino.
Lo dicono Antonino Pennisi ed Alessandra Falzone, nel loro  «Il prezzo del linguaggio. Evoluzione ed estinzione nelle scienze cognitive», il Mulino, Bologna.

"Il linguaggio è, in altre parole, la specie-specificità dell'uomo e, secondo gli autori, nasce casualmente da un fenomeno evolutivo di exaptation (la cooptazione funzionale di Stephen Jay Gould), ovvero dalla creazione di funzioni nuove in strutture evolutivamente obsolete. In questo caso la condizione fisiologica di abbassamento della laringe – che in altre specie animali, come nel maschio del cervo di Ficht, serve a produrre suoni gravi per sedurre la compagna – ha creato le condizioni ottimali per l'articolazione linguistica. La ricostruzione dell'evoluzione delle abilità cognitivo-linguistiche a questo punto non è separata da una critica al modello cognitivo più diffuso, che propone di studiare il cervello e le sue varie funzioni come fossero scorporati dall'organismo e dalla sua storia biologica ed evolutiva.

Al contrario, la nascita del linguaggio ha costituito un passaggio di non ritorno, perché esso ha influenzato tutte le abilità cognitive dell'essere umano, è diventato esso stesso abilità cognitiva per eccellenza, caratterizzando in questo modo sia la capacità rappresentazionale del mondo da parte dei soggetti, sia la capacità di trasmettere a livello collettivo le visioni del mondo. All'area di Broca, cui un tempo si attribuivano funzioni relative alla mera sintassi verbale, deve essere riconosciuto un ruolo principe nel funzionamento di un network cognitivo complesso atto a generare conoscenze coinvolgendo varie strutture (BA 47, BC 6, corteccia temporale sinistra e corteccia prefrontale dorsolaterale)."

Insomma, non c'è soluzione di continuità tra evoluzione, biologia, tecnologia, cultura. Non c'è dualismo che regga - questa la tesi dei due autori, - non c'è separazione tra natura e cultura. L'evoluzione ha creato i presupposti biologici per la nascita del linguaggio: esso è diventato linguaggio tecnologico e ha generato l'evoluzione culturale del genere umano. La presenza del linguaggio spiegherebbe un'iperadattività così straordinaria, capace di annullare con la tecnologia tutti gli ostacoli alla propria diffusione sul pianeta e minimizzare le condizioni che ne impediscono la procreazione."

Ho letto la recensione del libro nel domenicale de "Il Sole-24 Ore" a cura di Armando Massarenti, da cui sono tratte le citazioni sopra e me ne sono, in un certo qual contorto  modo -e ne ho piena consapevolezza- "deliziata", perché se c' è qualcosa che, da un po' di tempo a questa parte mi dà malessere autentico nell' intrattenimento di rapporti umani -diretti od indiretti-, è esattamente il modo d' uso, l' abuso, la strumentalizzazione, l' ambiguità, e poi anche  gli annessi, i connessi, le induzioni, le deduzioni, i sottaciuti ed ogni altro orpello ed inganno del linguaggio.
Il fatto che esso ci abbia consentito di affinare le nostre potenzialità cognitive al punto tale di permetterci la completa sovranità sulle altre specie viventi e più genericamente sulla natura, appare ora costituire anche il classico boomerang dagli effetti di ritorno distruttivi (estinzione per accelerato adempimento del percorso evolutivo destinato a sfuggirci completamente dal controllo), nonché dell' altro ancora...
Il linguaggio, che nasce da un imput biologico per consentire ulteriore progresso biologico,  contiene, come casuale potenzialità collaterale, anche la possibilità di esternare Pensiero puro.

Allora azzardo ipotesi, facendo esattamente io stessa ciò che più sotto minimizzerò e renderò ridicolo, anche perché è esattamente così che mi vedo e sento: minima ed un po' patetica (chiedo scusa per la divagazione troppo personale).
Filosofia,Teologia, Poesia, Letteratura: pensiero ozioso e sfaccendato, fantasia, gioco della mente, arzigògolo, cavillo.
Sono, queste, biologicamente inutili (ginnastica mentale per il cervello, organo neuroplastico da stimolare per evitarne l' avizzimento? No, invece: il cervello lavora di più quand' è a riposo, pare ...) , e non è chiaro se si tratti di errore evolutivo o semplice spuria dell' umano processo vitale, perché, se così non fosse, dovrebbero almeno ottemperare ad un qualche fine a- narcisistico (che continuo a non riuscire a vedere anche se ciò potrebbe benissimo essere dipendente da un mio personale limite).
Ciò che è certo è che tali espressioni culturali non hanno prodotto alcun cambiamento sostanziale nell' Homo Sapiens (praticamente uguale a sé stesso dalla sua comparsa fino ad oggi), ma gli hanno fornito il piacere.
Il piacere di coltivare velleità, di alimentare l' auto-stima, di esagerarsi l' oggettiva importanza, di deificarsi esorcizzando la morte.







mercoledì 1 settembre 2010

Diario irrilevante di una gattara



E' lapalissiano: o ci stai o non ci stai...
In qualunque situazione. In qualsiasi luogo. Perfino in un sistema di pensiero...
Devi poter mettere l' altro in condizione di "leggerti", o soltanto "scorrerti", attraverso un certo schema di catalogazione, e, accondiscendendovi, tu tradirai imperdonabilmente te stesso.

Di te, l' altro deve comprendere almeno vagamente la tua collocazione nello scaffale dei tipi umani, culturali  e sociali: sapere se sei simpatizzante di destra o di sinistra, reazionario o liberale, conformista o cane sciolto, allegro o malinconico, ateo o credente, e, su tale falsariga, ogni altro elemento atto ad esternarti.

In caso contrario e nell' eventualità in cui tu ostinatamente vi opponga resistenza, -per via di una certa tua  dura scelta di integrità morale ed intellettuale che ti imporrebbe di non esprimere nulla che non sia totalmente vero od esaustivo- , sarai un viandante ramingo e solo, accompagnato in eterno dalla sua stessa perplessità.
E' un gioco cui non puoi sottrarti, e che implica compassione, inutile amore per il tuo prossimo, cui provi ad offrirti ed in cui desideri credere -alla resa dei conti-, che ti condurrà, quasi certamente, al totale disgusto di te.

Una fatica estenuante, logorante ed inutile: la ricerca dell'appartenenza è un lavoro usurante, a decorso letale, che non contiene in sé neppure una parvenza vaga di felicità: dà soltanto illusione, è un mendace espediente per non precipitare nel nero pozzo dell' isolamento, nel cerchio perfetto e gelido di un universo che inizia e finisce con te, entro i limiti sensoriali ed ideali del tuo corpo-mente.
No.
Preferisco di no.

Resta allora il "fare", ovvero il tentativo di materializzare i tuoi pensieri, il tuo autenticamente onesto modo d' essere -per tutti irrilevante men che per te-, in azioni tangibili.

Oggi ho un grande impegno: tenermi viva.
Sopravvivere, momentaneamente.
Momentaneamente è abbastanza.
Farlo nonostante il mio risentimento verso una vita avara, un po' mediocre, disseminata di tragiche fatalità, di circostanze sempre sfavorevoli, di incontri mortificanti, di soprusi derivanti dalle umane piccinerie, di totale assenza di appoggio.
Voglio vedere quanta tenacia trasportino i miei geni.
Lo devo al mio gatto, e ad un paio di persone.
Una vita, soprattutto, senza Dio -persuasa da sempre della sua assoluta irrilevanza ed indifferenza rispetto alla condizione umana-, ma -ancor peggio-, senza l' uomo.